Cose mai viste alla direzione del Pd. Con i renziani che difendono l’ex ministro imputato a Roma (per la fuga di notizie nel caso Consip) e autosospeso dal partito, Luca Lotti, sorpreso dalle intercettazioni a trafficare (ma per questo non indagato) con il magistrato ed ex togato del Csm Luca Palamara (a sua volta indagato a Perugia per corruzione), per pilotare le nomine in alcuni dei principali uffici giudiziari. A cominciare proprio da quello della Capitale dove, come detto, Lotti è imputato. E nel farlo attaccano chi, come Luigi Zanda ha chiesto un passo indietro allo stesso Lotti (accolto con l’autosospensione), fingendo di non sapere che, a norma del codice etico del Pd, tanto l’ex ministro quanto il parlamentare Cosimo Ferri – pure lui intercettato nel “mercato delle vacche” (copyright dell’europarlamentare dem ed ex procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti) delle nomine al Csm – avrebbero dovuto essere messi alla porta. Insomma, al Nazareno va in scena il teatro dell’assurdo. Con il segretario Nicola Zingaretti che in nome dell’unità del Pd continua a tentennare sulla questione delle questioni. Quella morale che dall’Umbria alla Calabria fino al caso Lotti ha ormai travolto il partito. Eppure, sul “caos Procure”, Zingaretti non va oltre il ringraziamento all’ex ministro per la scelta di autosospendersi, sottolineando con forza che “la politica può interloquire ma non può interferire con il funzionamento del Csm”. Alla fine non c’è nessun voto. Nessuna spaccatura. Ma i nodi restano.
24/12/2024
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