Alla Camera, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha risposto al question time con la formula più rassicurante possibile: “Nessun dirottamento di risorse dalla sanità alla difesa”. Ha parlato di “strumentalizzazioni infondate” e “accostamenti fuorvianti” tra politica sanitaria e politica militare, rivendicando “una visione integrata” e “un impegno crescente per la salute degli italiani”. Ma la realtà, fuori dal perimetro del Parlamento, è molto meno rassicurante.
La sanità pubblica è in crisi strutturale. I medici e gli infermieri italiani sono tra i meno pagati d’Europa. Gli ospedali chiudono reparti per mancanza di personale. Le liste d’attesa si allungano. Mezzo milione di persone in Italia – ha ricordato la deputata del M5s Gilda Sportiello – non ha più soldi per curarsi. Centomila sono bambini. E il governo, mentre lascia tutto questo sullo sfondo, ha accettato un piano di riarmo da 800 miliardi di euro per i prossimi anni. È questa la sproporzione che il Movimento 5 stelle ha voluto denunciare.
Sanità sotto sforzo, ma i conti dicono altro
Sportiello non ha usato giri di parole: “Com’è possibile che dopo due anni di governo, di fronte al collasso del sistema sanitario pubblico, il ministro venga a dire che va tutto bene? Com’è possibile che il suo governo abbia accettato un piano di riarmo europeo da 800 miliardi e non trovi risorse per la sanità pubblica? Lei sa che le persone sono in apprensione perché non sanno se dovranno rinunciare alle cure perché non hanno soldi per curarsi?”. Domande nette, prive di contorno ideologico, che chiedono una risposta politica alle quali è seguita l’autodifesa istituzionale del ministro.
Schillaci ha ricordato l’aumento del Fondo sanitario nazionale: 5 miliardi in più nel 2024 rispetto all’anno precedente, 16 miliardi in più rispetto al 2020, e 20 nel 2026. Ma non ha detto che questi numeri non bastano. Non tengono conto dell’inflazione. Non colmano le lacune strutturali che da anni affliggono il sistema sanitario. Non servono a fermare l’emorragia di professionisti che abbandonano gli ospedali pubblici per emigrare all’estero o rifugiarsi nel privato.
Le priorità del governo non sono neutrali
Il ministro ha anche assicurato che la salute è “una priorità assoluta”. Ma intanto si accumulano le rinunce alle cure, le prestazioni negate, i ticket inaccessibili. In molte regioni si muore prima, semplicemente perché si nasce nel posto sbagliato. Il ministro ha promesso un aggiornamento dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, ma senza spiegare con quali fondi e in quali tempi. E senza dire come intenda garantire davvero l’accesso universale alle cure mentre la spesa sanitaria privata supera i 40 miliardi l’anno e la medicina diventa un lusso per chi può permettersela.
La questione posta dal M5s non è una provocazione, ma un punto politico. A fronte di un piano di riarmo da 800 miliardi e dei circa 30 miliardi che farebbero capo all’Italia – il più imponente della storia – il governo sostiene di non avere margini per assumere medici, costruire presidi territoriali, garantire farmaci salvavita. Se non è un dirottamento di risorse, è sicuramente una gerarchia di priorità.
La realtà è lì, nelle ambulanze che aspettano fuori dai pronto soccorso, nei pediatri che mancano, nei centri per le malattie rare lasciati a se stessi. E nei genitori che si chiedono se riusciranno a pagare la prossima visita specialistica.
Il ministro dice che le accuse sono “strumentalizzazioni”. Ma forse la vera strumentalizzazione è usare la parola “priorità” per descrivere un sistema che lascia indietro i più fragili e trova sempre nuove risorse per le armi.