La Repubblica ne è felice, non è difficile da immaginare. Lorenzo Guerini (ex uomo di punta del Pd caduto in piedi come uomo di punta della corrente dei riformisti del Pd prima di cadere anche da lì, ma sempre in piedi, alla presidenza del Copasir) e il ministro alla Difesa Guido Crosetto “convergono”.
Così il direttore di Repubblica Maurizio Molinari che al Salone del libro di Torino presentava la sua ultima opera attorniato dai due politici può dire con molta soddisfazione che i due esprimono “una convergenza di valori, di contenuti e di approcci strategici sulle questioni di fondo internazionali”.
Repubblica… a stelle e strisce
Il Paese che sognano: un Paese i cui fili siano tenuti insieme da partiti che concordano su tutti i temi fondamentali (per loro): guerre, alleanze internazionali, sistemi economici, equilibri geopolitici e parterre. A nessuno viene il dubbio che se destra e sinistra la pensano allo stesso modo e si assomigliano così tanto sia inevitabile la tentazione di non alzarsi nemmeno dal divano per andare a votare il Guerini e il Crosetto di turno poiché la fine della storia è prevedibile in entrambi i casi.
La questione di fondo, anche in questo caso, solo apparentemente è la guerra in Ucraina: ciò che conta è essere d’accordo sulla posizione atlantica. Ieri sulla questione è intervenuta anche la giornalista Stefania Maurizi (che fin dal 2009 ha lavorato con Julian Assange e il team di Wikileaks): “è esattamente lo scenario politico alla base della genesi del Pd, nella visione dei diplomatici dell’amministrazione Bush”, scrive.
Il riferimento è a un cablo di Wikileaks dell’11 aprile del 2008 in cui l’ambasciatore Usa Ronald Spogli informava delle “prossime elezioni italiane” che avrebbero permesso agli Usa di “spingere sulla nostra agenda con rinovato vigore”.
Scrive l’ambasciatore: “Mentre il nostro rapporto con il governo Prodi era buono, le nostre relazioni con il prossimo governo promettono di essere meglio, forse molto meglio. Prevediamo di fare progressi sulla nostra agenda se Veltroni dovesse vincere a sorpresa e ottimi progressi se Berlusconi dovesse arrivare al potere. Indipendentemente da chi vince, – continua l’ambasciatore Usa – intendiamo iniziare a incontrarci con i probabili membri del nuovo governo il prima possibile dopo le elezioni, durante il periodo di formazione del governo ad aprile e all’inizio di maggio, per rimarcare le nostre principali priorità politiche e la direzione che vorremmo che il prossimo governo prendesse”.
Che il Pd fosse importante per “contenere la sinistra italiana” (almeno nelle opinioni dei diplomatici Usa) è evidente anche nel cablo nel 24 settembre del 2008, quando l’ambasciatore scrive che “a lungo termine, un Pd forte è interessante per gli Usa perché è un partito di centro-sinistra che isola gli elementi di estrema sinistra più populisti e striduli che sono stati e sono costantemente un problema nei governi di centrosinistra”.
“È l’operazione – conclude Stefania Maurizi – su cui hanno puntato gli Stati Uniti fin dall’amministrazione Bush: creare uno scenario politico in Italia per cui se vince Berlusconi con i neofascisti o vince il Pd pochissimo cambia: nella loro visione, l’Italia deve puntare sulla sua missione da paese Top-tier Nato ovvero spesa militare minima al 2% Pil, più soldati italiani e carabinieri che vanno a morire per niente nelle missioni militari” ed “eliminare o comunque marginalizzare i troublemaker di sinistra che si opponevano a F35, missioni militari etc”.