Von der Leyen, sfida all’ultimo voto per blindare il bis. Meloni di fronte a un dilemma cruciale

Von der Leyen in bilico tra conferma e incertezze, Meloni costretta a scegliere tra fedeltà elettorale e influenza politica in Europa.

Von der Leyen, sfida all’ultimo voto per blindare il bis. Meloni di fronte a un dilemma cruciale

Giovedì 18 luglio, nell’emiciclo del Parlamento europeo a Strasburgo, Ursula von der Leyen affronterà la sfida decisiva per la sua riconferma a presidente della Commissione europea. Con una maggioranza assoluta fissata a 361 voti su 720, von der Leyen ha trascorso due settimane frenetiche a caccia di ogni singolo voto, cercando di consolidare il sostegno necessario. Nonostante l’ottimismo diffuso tra i suoi sostenitori, il percorso verso la conferma appare tutt’altro che agevole.

I numeri sulla carta sembrano favorevoli: il Partito Popolare Europeo (PPE), i Socialisti e Democratici (S&D) e i liberali di Renew contano complessivamente 401 membri, una maggioranza che dovrebbe garantire la riconferma. Tuttavia, la storia e le dinamiche parlamentari insegnano che le defezioni sono sempre dietro l’angolo. Nel 2019, von der Leyen riuscì a essere eletta con un margine risicato di soli nove voti, nonostante un vantaggio teorico ben più ampio. Questo precedente pesa come un’ombra sul voto di giovedì, con una previsione di diserzioni tra il 10 e il 15% nei tre principali gruppi europeisti.

Il peso delle defezioni e il ruolo decisivo dei Verdi per la conferma di von der Leyen

In questa cornice di incertezza, un ruolo cruciale potrebbe essere giocato dai Verdi, che con i loro 53 eletti potrebbero fornire i voti decisivi. Le recenti dichiarazioni della presidente dei Verdi, Terry Reintke, lasciano spazio a un moderato ottimismo per la presidente uscente: “Abbiamo avuto uno scambio molto costruttivo”, ha dichiarato Reintke, sottolineando l’interesse comune contro l’estrema destra. Tuttavia, i Verdi attendono ancora di vedere le linee programmatiche definitive e il discorso di von der Leyen prima di annunciare il loro voto.

Ma il vero nodo della questione potrebbe trovarsi altrove, e precisamente a Roma. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), si trova di fronte a un dilemma che potrebbe avere implicazioni profonde per il futuro politico dell’Italia e dell’Europa. Al momento, la posizione ufficiale dell’Ecr è di “libertà di voto”, con molti membri del gruppo, tra cui i 20 deputati polacchi del PiS, dichiaratamente contrari a von der Leyen. Tuttavia, i 24 deputati di Fratelli d’Italia rimangono un’incognita. Nicola Procaccini, presidente dell’ECR, ha confermato che il voto del gruppo è ancora negativo, ma ha lasciato uno spiraglio, sostenendo che le “indicazioni” di Meloni, attese dopo l’audizione con von der Leyen, potrebbero influenzare la decisione finale.

Il dilemma di Giorgia Meloni e l’incognita dei Conservatori

Meloni è in bilico tra la fedeltà alle promesse elettorali e il pragmatismo politico. Votare a favore di von der Leyen potrebbe essere visto come un tradimento dai suoi elettori ma potrebbe rappresentare l’unica opportunità per aumentare l’influenza dell’Italia in Europa. Gli alleati conservatori della presidente uscente della Commissione sostengono che un voto contrario sarebbe un regalo per i populisti e destabilizzerebbe ulteriormente il già fragile scenario geopolitico. D’altra parte, un appoggio a von der Leyen potrebbe rafforzare la posizione dell’Italia nelle future negoziazioni europee, permettendo a Meloni di contare di più nei tavoli che contano.

In questa situazione complessa, la strategia di von der Leyen è chiara: evitare accordi formali con i Verdi per non alienarsi ulteriormente la sua base nel Ppe, ma allo stesso tempo corteggiare i voti individuali del gruppo Ecr. Tuttavia, come sottolineato da esponenti di spicco del Ppe, come l’ex presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, e il commissario europeo greco Margaritis Schinas, la prudenza è d’obbligo. La posta in gioco è alta: un fallimento giovedì potrebbe portare a una paralisi della Commissione europea fino al 2025, con conseguenze imprevedibili per l’Europa.