Da una parte i Paesi rigoristi del Nord, compresa la Germania, ça va sans dire, e dall’altra il fronte dei nove. Che reclamano in maniera forte e chiara di ricorrere agli Eurobond per almeno 500 miliardi di euro. Tra questi l’Italia, la Francia e la Spagna, che mercoledì hanno chiesto, in una lettera al presidente del Consiglio europeo Charles Michel “una spinta poderosa, coesa e tempestiva” sul piano economico-finanziario e sul fronte del debito pubblico. Questa la linea che ieri ha demarcato ancora una volta la profonda spaccatura fra due idee di Europa, fra due concetti opposti: reale “solidarietà europea” versus una mera costruzione geografica e astratta.
Il vertice che si è tenuto ieri in videoconferenza per decidere con una parvenza di azione unitaria come affrontare l’emergenza sociale ed economica senza precedenti dovuta alla pandemia – e che già sta avendo pesantissime ripercussioni sulla vita quotidiana di milioni di persone, in definitiva si è concluso con la bocciatura degli Eurobond (o Coronabond), obbligazioni che essendo “comuni” non appartengono a nessuno stato membro e quindi non vanno chieste in “prestito”, ma possono essere messe a disposizione di chi ha bisogno per immettere liquidità nel circuito nazionale. È su questo punto che i falchi dell’austerità non vogliono sentir ragioni.
Ma l’intesa è lontana anche sulle condizioni da applicare a un eventuale intervento del Mes: Tant’è che Michel è stato costretto a presentare una bozza di conclusioni ulteriormente annacquata rispetto alla versione precedente che dava un sostanziale via libera al ricorso al Mes. Il Consiglio europeo invita genericamente l’Eurogruppo a “sviluppare le specifiche tecniche necessarie per attivare il Mes nelle prossime settimane”. In un passo della bozza viene poi indicato (in termini altrettanto generici) che saranno usati gli strumenti Ue “per sostenere le economie e alleviare i problemi sociali e di occupazione nella misura necessaria”: i ministri finanziari, si legge, dovranno “esplorare rapidamente le possibilità incrementare la risposta complessiva della Bei”.
Non sembra dunque al momento che abbiano sortito l’effetto sperato né le parole di Mario Draghi – che dalle colonne del Financial Times ha parlato delle conseguenze del Coronavirus sull’economia come di una “tragedia di proporzioni bibliche” – né l’appello che è arrivato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che ha esplicitamente accusato di egoismo alcuni stati membri. Grande irritazione anche dalle parti di Palazzo Chigi: Conte non ha accettato la bozza preparata nonostante gli sherpa italiani avessero ottenuto l’eliminazione di qualsiasi riferimento al Mes. Il premier ha chiarito che nessuno pensa a una “mutualizzazione” del debito pubblico: ciascun Paese risponde del proprio e continuerà a risponderne.
Dal canto suo, l’Italia ha le carte in regola con la finanza pubblica. Il 2019 si è chiuso con un rapporto deficit/Pil di 1.6 anziché 2.2 come programmato. Per il premier ora si tratta di reagire “con strumenti finanziari innovativi e realmente adeguati a reagire a una guerra che dobbiamo combattere insieme in modo da vincere quanto più rapidamente possibile”. Su questa impostazione Conte ha raccolto importanti aperture da Francia, Portogallo, Grecia, Irlanda, Lussemburgo e avrebbe dato “10 giorni all’Europa per battere un colpo e trovare una soluzione adeguata alla grave emergenza che tutti i Paesi stanno vivendo”.