La forza della rinascita, perché c’è sempre una seconda possibilità. È questo il messaggio che Alessandra Cuevas vuole lanciare attraverso il docu-film che sarà presentato oggi a Napoli. “Il coraggio di una figlia” è dedicato a Teresa Buonocore, uccisa nel 2010 dopo aver denunciato gli abusi subiti dalle sue figlie. All’evento, organizzato dal Rotary Club Campania, interverranno Ludovica Carpino, vicequestore della polizia di Stato, l’eurodeputata Chiara Gemma e l’avvocato Drusilla De Nicola. L’obiettivo è quello di abbattere il muro del silenzio ed essere un faro per le tante vittime di violenze che si sentono sole.
Alessandra, lo scopo del docu-film è far capire che c’è sempre una seconda chance?
“Lo dovevo a mia madre. Sono una ragazza come tante, non mi piace essere identificata come “vittima”, è un marchio. In fondo al tunnel c’è la luce”.
Domani è la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha risvegliato le coscienze?
“Martedì scorso sono stata a Melito per l’inaugurazione di una casa famiglia intitolata a mia madre. Sono arrivata lì particolarmente scossa. Chi ha vissuto quel tipo di dolore è come se ne venisse attraversato nuovamente. Giulia, come me, aveva perso la mamma e quindi ho capito subito che non si era allontanata volontariamente, non avrebbe mai causato un altro dolore ai familiari. Come ha evidenziato la sorella Elena, si tratta di una questione culturale, le famiglie spesso non hanno i mezzi. Servono più investimenti e maggiori sostegni alla scuola”.
Da dove deve partire la prevenzione?
“Bisogna intervenire fin da piccoli. Pensate ad un bimbo che cresce in una famiglia dove il padre picchia la madre, per quanto possa non ricordare, potrebbe subire anche in futuro l’influenza negativa di ciò che ha vissuto”.
Spesso film e fiction raccontano le storie dal punto di vista dei carnefici. Non bisognerebbe dare più spazio alle vittime?
“Sicuramente. Ho apprezzato molto la serie dedicata a Elisa Claps, che ha dato voce a una ragazza assassinata e a una famiglia che ha lottato per anni. Sono le storie come questa che andrebbero diffuse, mentre invece in troppe opere cinematografiche a prevalere sono i criminali”.
Come sradicare certi modelli culturali che circolano sui social?
“Anche qui è necessaria l’azione degli adulti. Dove i genitori non arrivano deve intervenire la scuola, come è successo nel mio caso. Sono stati i miei insegnanti a segnalare gli abusi che subivo, se ne erano resi conto da alcuni comportamenti. L’educazione sentimentale è fondamentale, soprattutto per i ragazzi. A loro fin da bambini viene inculcato che essendo uomini non devono mai piangere, noi invece siamo incentivate ad esprimere le nostre emozioni. Tanti adolescenti non sono in grado di gestire i sentimenti, come la fine di un rapporto, proprio perché non hanno gli strumenti culturali ed educativi”.
Che messaggio lanci alle donne che vedranno il docu-film?
“Con i produttori Guia Invernizzi Cuminetti ed Emanuele Berardi abbiamo provato ad essere di aiuto per le ragazze che vivono situazioni simili alla mia. Sono convinta che la chiave sia la denuncia e lo ribadisco nonostante la mia vicenda personale. Il gesto di mia madre ha reso me e mia sorella libere. Il vero problema riguarda purtroppo la solitudine, quando una donna denuncia spesso viene lasciata sola. Chi non può permettersi sostegni psicologici che, sono necessari, come fa? Purtroppo su questo lo Stato è assente”.