A volte riprovano. Francesco De Lorenzo (nella foto), alias Sua Sanità, il pluri-ministro Pli condannato a 5 anni per corruzione e associazione a delinquere finalizzata al finanziamento illecito del partito; Giancarlo Cito, l’ex sindaco-sceriffo Msi di Taranto, 4 anni per concussione; Giulio Di Donato, l’ex vicesegretario del Psi di Bettino Craxi, tre anni e quattro mesi per corruzione, e Raffaele Mastrantuono, altro socialista napoletano, due anni e 10 mesi sempre per corruzione, hanno provato a farsi restituire il diritto al vitalizio e “la restituzione delle somme trattenute” a partite dal 2015, cioè dalla delibera 131 che ha sospeso l’assegno ai condannati in via definitiva (leggi l’articolo). Ma non ci sono riusciti.
BUCO NELL’ACQUA. Respinti una prima volta, il 28 novembre 2016, dal Consiglio di giurisdizione della Camera, hanno ritentato la sorte in secondo grado ma di nuovo sono stati sconfitti: il 21 settembre il Collegio di Appello (presidente Andrea Colletti, Alternativa c’è, Laura Cavandoli, Lega, Cosimo Maria Ferri, IV, Paola Frassinetti, Fdi e Stefano Ceccanti, Pd) con la sentenza n.7/2021 ha bocciato per palese “infondatezza” tutti “gli appelli proposti”.
La Camera di Roberto Fico, insomma, tiene duro e rimane fedele alla linea decisa ai tempi di Laura Boldrini e Pietro Grasso (leggi l’articolo): niente vitalizio per chi ha subito condanne a più di due anni di carcere. Mentre al Senato, dove regna Maria Elisabetta Casellati, berlusconiana di ferro e paladina dei vitalizi (a partire dal proprio: è riuscita a farsi restituire tutti gli arretrati che le erano stati negati mentre era al Csm), la delibera Grasso è stata completamente demolita (leggi l’articolo): sia la Commissione Contenziosa, presieduta dal forzista Giacomo Caliendo, sia il Consiglio di Garanzia, guidata dal collega di partito Luigi Vitali, hanno infatti sposato la linea del volemose bene.
E con la motivazione che il vitalizio è come una pensione di cittadinanza, e in quanto tale non revocabile nemmeno a condannati per reati gravi, hanno restituito l’assegno da 7.709 euro (più arretrati) all’ex governatore lombardo Roberto Formigoni, condannato a 5 anni e 10 mesi per corruzione, e spalancato le porte ad altri illustri pregiudicati come Ottaviano Del Turco, 3 anni e 11 mesi per induzione indebita (leggi l’articolo). Montecitorio invece non molla. E respinge i ricorsi su tutti i fronti, compreso un paradossale richiamo alla legge Severino del 2012.
Cosa c’entra, visto che non parla di vitalizi ma di incandidabilità e del divieto di ricoprire cariche elettive e di governo in seguito a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi? Ecco: prevede la riacquisizione automatica, passato un certo tempo, del diritto di elettorato passivo. Potrebbe succedere, perciò, che gli ex-deputati condannati in base a reati per cui la Camera prevede la revoca del vitalizio “possano candidarsi ed essere rieletti in Parlamento”, come spiega il sito dell’Associazione ex parlamentari.
DOPPIO BINARIO. Cosa succederebbe in tal caso? Se Montecitorio insistesse sul niet, in nome delle passate condanne, di fatto applicherebbe, secondo l’associazione guidata da Antonello Falomi, “una sanzione più severa di quella prevista dalla legge”. Secondo Colletti & Co, invece, “il recupero della candidabilità” non può essere il parametro “per la valutazione della coerenza e ragionevolezza dei trattamenti previdenziali”. Per riavere il vitalizio alla Camera occorre essere riabilitati. Punto. Ma visto che, in ogni caso qualche incongruenza c’è, toccherà ora all’Ufficio di Presidenza sciogliere il nodo.