Andrea Rock è un musicista di talento con all’attivo collaborazioni internazionali di ottimo livello con artisti di assoluto spessore. La sfrenata passione per questo mondo lo porta a essere anche un punto di riferimento radiofonico per il suo pubblico che ogni giorno lo segue nel pomeriggio di Virgin Radio.
La tua carriera radiofonica comincia a fianco di Ringo a 105, quanto è stata importante quell’esperienza per la tua crescita professionale?
“È stata una palestra fondamentale, perché dovevo essere sempre pronto, sempre vigile, sempre sul pezzo dato che Ringo poteva chiamarmi in onda in ogni momento a parlare di qualsiasi cosa. Mi è servito molto anche fare esperienza a Radio Lupo Solitario, a fianco di un amico che purtroppo oggi non è più tra noi, ovvero Mono, il cantante della punk band FFD. Ancora oggi mi “esercito” anche fuori onda, da solo in auto, ascoltando le altre radio e provando a continuare il discorso dello speaker in onda. Lavorare come autore i primi anni a 105, così come agli inizi di Virgin Radio, mi ha permesso di comprendere tutti i meccanismi che sottendono alla messa in onda. Altrettanto importante è stata, ed è, la co- conduzione: ti aiuta a trovare un tono di voce riconoscibile e i tempi necessari per non sovrapporsi”.
Virgin continua a crescere nei dati di ascolto, quali strumenti ritieni utili per continuare ad affascinare anche le nuove generazioni al mondo della radio?
“Il rock non passa mai di moda e le band “classiche” sono tappe fondamentali nella crescita di ognuno. Virgin offre spesso un punto di partenza per le nuove generazioni le quali, entrando a contatto con i mostri sacri, possono poi costruire un percorso d’ascolto personale. Gli ascolti continuano a crescere perché il nostro prodotto è “familiare”, il che è una delle caratteristiche alla base di un progetto editoriale di successo: chi sceglie Virgin è perché sa cosa aspettarsi e perché si fida della competenza di coloro che stanno dietro al microfono. Personalmente mi dà molta soddisfazione quando chi mi segue in radio sceglie poi di farlo anche nei miei altri ambiti di competenza, come nel contesto live o attraverso piattaforme di contenuti all’interno delle quali posso affrontare molteplici argomenti”.
Nel tuo percorso da musicista hai tantissime collaborazioni importanti, quale ricordi con più piacere?
“Quella che cito più spesso è quella con il batterista dei Ramones, Marky. Non era una collaborazione prevista o determinata da altri: lui mi ha scelto una sera che non era soddisfatto del cantante che era sul palco con lui. Questo ha reso la nostra connessione onesta e sincera sin dal primo giorno. È andata allo stesso modo con Dave “Brownsound”, chitarrista dei Sum 41: anni di amicizia e stima reciproca hanno portato il chitarrista della band canadese sull’ultimo album della mia band Andead per il brano “Emperor’s New Clothes”. Ci sono artisti che per collaborazioni di questo tipo devono coinvolgere le etichette, i management e mettere mano al portafoglio. Io ho scelto la trasparenza e la spontaneità come valori imprescindibili anche in questo ambiente”.
Sei molto attivo nell’ambito dell’impegno sociale, vuoi parlarmi di un progetto in particolare?
“Credo che coloro che, come me, hanno la fortuna di avere un microfono davanti alla bocca abbiano il dovere morale di sensibilizzare il prossimo su tematiche importanti. Per questo motivo collaboro da anni con Amnesty International e dal 2016 sono diventato attivista. Altri progetti nei quali sono coinvolto riguardano la musicoterapia; mi è capitato più volte di visitare bambini affetti da gravi patologie, ricoverati in strutture specializzate e di suonare per e con persone con disabilità. Ognuna di quelle esperienze è per me nutriente e formativa. Vorrei avere giornate di 72 ore per potermi dedicare con maggior costanza a realtà di questo tipo. Per concludere: credo fermamente nel concetto di “restituire” e “condividere” i privilegi che in parte mi sono stati concessi”.
Da musicista quanto peso ritieni abbia il mondo radiofonico tradizionale per la promozione degli artisti? E, in generale, viene dato sufficiente spazio alle nuove proposte?
“Da musicista vedo la radio come un campionato a sé: a giocare a livello nazionale sono esclusivamente gli artisti major o comunque firmati da label che hanno un peso specifico negli uffici musica delle emittenti. Per tutti gli altri, me compreso, ci sono le radio locali, le webradio e i podcast indipendenti. Aggiungo che determinati generi non sentono la necessità del passaggio radiofonico nazionale perché hanno altre piattaforme di condivisione, altri spazi dove confrontarsi e altri mercati nei quali proporsi. La radio resta l’ago della bilancia per capire dove si muove la massa, ma per realtà indipendenti suggerisco di studiare gli algoritmi delle piattaforme di streaming e le nuove strategie promozionali”.