Sono stati tutti rinviati a giudizio i 105 imputati, tra poliziotti penitenziari, funzionari del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) e dell’azienda sanitaria locale, accusati a vario titolo di responsabilità in ordine alle violenze ai danni dei detenuti avvenute nel carcere casertano di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 (leggi l’articolo), in pieno lockdown.
Tutti a giudizio i 105 indagati per violenze nel carcere Santa Maria Capua Vetere durante la rivolta del 6 aprile 2020
La decisione è stata emessa dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Pasquale D’Angelo, che ha rinviato tutti gli indagati per al dibattimento che inizierà il 7 novembre prossimo davanti alla Corte d’Assise del tribunale sammaritano.
Con la decisione del gup di Santa Maria Capua Vetere, andranno a processo anche l’ex provveditore regionale del Dap, Antonio Fullone e gli ufficiali della penitenziaria Pasquale Colucci, Gaetano Manganelli, Tiziana Perillo e Nunzia Di Donato. Con loro anche decine di agenti della Penitenziarie e due medici del carcere.
Il 6 aprile 2020, quanto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere scoppiò una violenta rivolta, erano tutti in servizio all’istituto di reclusione casertano. Restano ancora da identificare gli oltre 100 agenti della Polpen provenienti soprattutto dal carcere di Secondigliano che durante le violenze, cui parteciparono attivamente, erano muniti di caschi e mascherina protettiva per cui non riconoscibili dai detenuti.
I reati contestati, a vario titolo, sono concorso in torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti (per 41 agenti), maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico (anche per induzione) aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio. Le perquisizioni riguardarono 292 detenuti nel Reparto Nilo.
La protesta fu innescata da centinaia di carcerati dopo la notizia di un caso di positività al Covid-19 tra le mura dell’istituto. Per sedare la sommossa vennero inviati da Napoli contingenti dei Reparti speciali della Penitenziaria
I detenuti furono costretti a passare in un corridoio di agenti, con caschi e manganelli, fatti inginocchiare e colpiti di spalle
Dall’indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere era emerso che i detenuti furono costretti a passare in un corridoio di agenti, con caschi e manganelli, fatti inginocchiare e colpiti di spalle per tutelare l’anonimato dei picchiatori. Nell’ordinanza d’arresto a carico di 52 indagati il gip definì l’episodio una “orribile mattanza” ai danni dei detenuti: alcuni sono stati denudati e 15 anche portati in isolamento con modalità del tutto irregolari e senza alcuna legittimazione.
Tra i detenuti in isolamento, uno perse la vita, il 4 maggio, quasi un mese dopo la perquisizione, per l’assunzione di un mix di oppiacei. In relazione a questa morte, è stato spiegato, ritenendo quel gesto conseguenza delle torture, la Procura ha contestato il reato di morte come conseguenza di un altro reato (la tortura, appunto). Una impostazione non condivisa dal gip che invece ha ritenuto di classificare l’evento come suicidio.
“Li abbattiamo come vitelli”; “domate il bestiame” prima dell’inizio della perquisizione e, dopo, quando la perquisizione era stata completata, “quattro ore di inferno per loro”, “non si è salvato nessuno”, “il sistema Poggioreale”, forse in riferimento a una metodologia di contenimento. Sono alcuni messaggi trovati dagli inquirenti nelle chat degli agenti della Polizia Penitenziaria coinvolti nell’inchiesta.
Per ora si sono costituite al processo oltre cento parti civili, tra cui una novantina di reclusi vittime dei pestaggi, il garante nazionale e quello regionale dei detenuti, alcune associazioni (Antigone, Carcere possibile, Agadonlus, Abusi in divisa), ed enti come l’Asl di Caserta e il Ministero di Grazia e Giustizia, che compariranno anche nelle vesti di responsabile civile per le condotte dei propri dipendenti.