I Carabinieri di Caserta hanno eseguito 52 misure cautelari emesse dal gip su richiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di agenti della Polizia penitenziaria e dirigenti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria coinvolti negli scontri con i detenuti che avvennero il 6 aprile 2020, in pieno lockdown, nel carcere dello stesso comune del casertano. Una protesta innescata da centinaia di carcerati dopo la notizia di un caso di positività al Covid-19 tra le mura dell’istituto, dove per sedare la sommossa vennero inviati da Napoli contingenti dei Reparti speciali della Penitenziaria
Complessivamente sono stati notificati 8 arresti in carcere, 18 arresti ai domiciliari, 3 obblighi di dimora e 23 interdizioni dall’esercizio del pubblico ufficio. I reati contestati, a vario titolo, sono concorso in torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti (per 41 agenti), maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico (anche per induzione) aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio. Le perquisizioni riguardarono 292 detenuti nel Reparto Nilo.
Dall’indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere è emerso che i detenuti furono costretti a passare in un corridoio di agenti, con caschi e manganelli, fatti inginocchiare e colpiti di spalle per tutelare l’anonimato dei picchiatori. Nell’ordinanza il gip definisce l’episodio una “orribile mattanza” ai danni dei detenuti: alcuni sono stati denudati e 15 anche portati in isolamento con modalità del tutto irregolari e senza alcuna legittimazione.
Tra i detenuti in isolamento, uno perse la vita, il 4 maggio, quasi un mese dopo la perquisizione, per l’assunzione di un mix di oppiacei. In relazione a questa morte, è stato spiegato, ritenendo quel gesto conseguenza delle torture, la Procura ha contestato il reato di morte come conseguenza di un altro reato (la tortura, appunto). Una impostazione non condivisa dal gip che invece ha ritenuto di classificare l’evento come suicidio.
“Li abbattiamo come vitelli”; “domate il bestiame” prima dell’inizio della perquisizione e, dopo, quando la perquisizione era stata completata, “quattro ore di inferno per loro”, “non si è salvato nessuno”, “il sistema Poggioreale”, forse in riferimento a una metodologia di contenimento. Sono alcuni messaggi trovati dagli inquirenti nelle chat degli agenti della Polizia Penitenziaria coinvolti nell’inchiesta.
Esprime “sorpresa ed amarezza” il Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) alla notizia delle misure eseguite oggi a carico degli agenti in servizio a Santa Maria Capua Vetere. “Prendiamo atto dell’iniziativa adottata dai magistrati. La presunzione di innocenza – afferma in una nota il segretario generale del Sappe Donato Capece – è uno dei capisaldi della nostra Carta costituzionale e quindi credo si debbano evitare illazioni e gogne mediatiche. A noi sembrano provvedimenti abnormi considerato che dopo un anno di indagini mancano i presupposti per tali provvedimenti, ossia l’inquinamento delle prove, la reiterazione del reato ed il pericolo di fuga”.