Video sulla morte di Ramy, ora la Procura di Milano valuta l’omicidio volontario

I video del TG3 mostrano urti e manovre rischiose nell’inseguimento: tre carabinieri indagati per falso e depistaggio

Video sulla morte di Ramy, ora la Procura di Milano valuta l’omicidio volontario

I video trasmessi ieri in esclusiva dal TG3 sull’inseguimento che ha portato alla morte di Ramy Elgaml, 19enne di origine egiziana, gettano nuova luce su una vicenda già al centro di polemiche e proteste. Le immagini, riprese sia dalle telecamere montate sulle auto dei carabinieri sia da dispositivi del Comune di Milano, mostrano momenti cruciali dell’inseguimento terminato con la tragica morte del ragazzo lo scorso novembre.

Nei video, l’automobile dei carabinieri appare in diverse occasioni molto vicina allo scooter su cui viaggiavano Elgaml e il suo amico Fares Bouzidi, di 22 anni, che era alla guida. In uno dei frame più significativi, si vede l’auto urtare il motorino, che vacilla senza cadere. Si sentono chiaramente le voci degli agenti nell’auto: “Vaffanculo, non è caduto!”. In un altro passaggio, uno degli occupanti ordina di “chiudere” lo scooter, spingendo la vettura verso destra per impedire ai ragazzi di passare. Anche qui, il motorino riesce ad evitare la caduta, scatenando nuovi improperi: “No, merda, non è caduto!”.

I video comunali, invece, documentano il momento dello schianto finale. Lo scooter, in fuga, urta un palo dopo quello che appare come un contatto con l’auto dei carabinieri. La dinamica precisa è al vaglio degli inquirenti, ma le immagini mostrano un inseguimento pericoloso e ad alta velocità, in una zona urbana densamente popolata.

Indagini e proteste

La procura di Milano sta indagando su tre carabinieri. Due di loro sono accusati di falso in atto pubblico per aver omesso nei verbali l’impatto tra l’auto e lo scooter. Gli stessi agenti sono anche indagati per depistaggio: avrebbero costretto un testimone a cancellare un video che documentava lo schianto. La famiglia di Elgaml e il suo amico Bouzidi sostengono che le manovre dei carabinieri siano state la causa diretta dell’incidente mortale.

Le proteste nel quartiere Corvetto, dove Ramy viveva, sono iniziate subito dopo la sua morte. La comunità locale, composta in gran parte da giovani e famiglie di origini migranti, ha denunciato il comportamento delle forze dell’ordine, definendolo come un abuso dettato da razzismo e classismo. “La gioventù proletaria e meticcia ha alzato la voce”, ha scritto sui social l’europarlamentare Ilaria Salis, definendo le immagini trasmesse dal TG3 “terribili e inaccettabili in un paese civile”.

La lettera di Ilaria Cucchi

A sollevare ulteriori critiche è stata anche la senatrice Ilaria Cucchi, che ha indirizzato una lettera aperta al comandante generale dell’Arma, Salvatore Luongo. “Chi ha ricostruito i fatti in modo così diverso dalla realtà e chi avrebbe ordinato di cancellare prove non merita di indossare la divisa”, ha scritto Cucchi, richiamando l’Arma a prendere provvedimenti immediati per salvaguardare la propria credibilità.

Una vicenda emblematica

Il caso Ramy Elgaml non è isolato, ma si inserisce in un contesto di tensioni crescenti tra le comunità delle periferie e le istituzioni. Le immagini diffuse ieri non sono solo una prova tecnica per le indagini: rappresentano un simbolo delle profonde disuguaglianze che caratterizzano le relazioni tra Stato e cittadini più vulnerabili. Per molti, l’inseguimento di Ramy non è solo una tragedia personale ma un atto di forza che rivela un sistema incapace di trattare con equità chi vive ai margini. La procura di Milano esaminerà i video per stabilire con certezza la dinamica dello schianto.