Mercoledì, Aula di Palazzo Madama. Si stanno votando le 5 fiducie sulla legge elettorale. Il senatore del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi, si rivolge a Pietro Grasso. “Dimettiti se hai la schiena dritta, come fece il presidente del Senato nel 1953 – lo attacca –. Non renderti complice di questo scempio”. La risposta della seconda carica dello Stato è caustica: “Può essere più duro resistere che abbandonare con una fuga vigliacca”. È allora che l’ex procuratore nazionale antimafia ha deciso una volta per tutte che chiusa la pratica del Rosatellum bis avrebbe lasciato il gruppo del Pd a Palazzo Madama. Scelta formalizzata ieri e annunciata con una stringata nota, battuta dalle agenzie a metà pomeriggio. Perché, ha detto ai suoi, “politicamente e umanamente la misura è colma”.
Rapporto logoro – “Al contrario di quanto è successo alla Camera con la Boldrini nella capigruppo, ma anche prima a dire il vero, Grasso si è opposto con tutto se stesso all’ipotesi fiducia, poi però di fronte alla scelta del Governo non ha più potuto toccare palla…”, racconta una fonte di maggioranza a La Notizia. Preso atto dell’ennesima forzatura dell’Esecutivo (e da Matteo Renzi), il presidente del Senato ha capito che si era definitivamente rotto qualcosa nel rapporto col suo partito. “Non mi riconosco più nel merito e nel metodo di questo Pd – ha confidato ancora – comportamenti che imbarazzano le istituzioni e ne minano la credibilità e l’indipendenza. Non mi riconosco nemmeno nelle sue prospettive future”. Mercoledì Grasso non ha fatto precipitare le cose, come nel suo stile, sempre pacato. Ma ieri ha fatto ‘scoppiare la bomba’. Si accaserà nel Misto dove la presidente, Loredana De Petris (Sinistra Italiana), gli ha già dato il benvenuto. Ma quando mancano una manciata di mesi alle elezioni, la corsa per accaparrarselo in lista è già partita. I partiti a sinistra del Pd, in primis Articolo 1-Mdp, ci sperano. Del resto, come noto, fu proprio Pier Luigi Bersani a volerlo candidato alle ultime Politiche, prima di giocarselo come carta per la presidenza del Senato spiazzando i grillini (18 dei quali lo votarono). Ieri i bersanian-dalemiani, euforici per l’addio di Grasso ai dem, ricordavano – sottolineandoli – gli applausi che lo hanno accolto alla festa di Movimento Democratico e Progressista di fine ottobre a Napoli. Quella nella quale l’interessato aveva detto di essere sempre rimasto “un ragazzotto di sinistra”, quasi a voler rimarcare le distanze da un partito che in questi anni ha spostato il proprio baricentro sempre più al Centro, per non dire a destra.
Jolly nel mazzo – Andare con i fuoriusciti, che arriverebbero a offrirgli un ruolo da frontman, sarebbe indubbiamente la soluzione più semplice. Ma Grasso non è a caccia di poltrone. A testimoniarlo, la decisione di rispedire al mittente qualsiasi invito a correre come governatore della Sicilia, la sua Regione, o il “no” detto al capogruppo dem a Palazzo Madama, Luigi Zanda, che ieri ha improvvidamente dichiarato di avergli chiesto di “candidarsi in un collegio a suo scelta”. Tra le ipotesi in campo, dicono fonti molto vicine al presidente del Senato, ci sarebbe anche quella di chiudere qui, dopo appena un giro, la propria esperienza politica. Anche perché, ragionava qualcuno ieri, “nessuno vuole bissare il precedente di Mario Monti”. In che senso? “Cinque anni fa fondando Scelta Civica l’allora premier decise di appiccicarsi addosso un bollino, mettendosi da solo in fuorigioco per l’eventuale riconferma a Palazzo Chigi. Non credo – è la sintesi – che Grasso voglia cadere nello stesso errore…”. Il ragionamento è più o meno questo: il presidente del Senato potrebbe tenersi le mani libere per poter poi essere chiamato in causa quando, a elezioni finite e con un’ingovernabilità manifesta (così almeno dicono le proiezioni del Rosatellum bis), bisognerà cercare un ‘saggio’. Per fare cosa è chiaro.
Tw: @GiorgioVelardi