Tempi stretti anzi strettissimi per il governo per realizzare le riforme indicate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (in tutto 48) necessarie ad aggiudicarci le ingenti risorse promesse da Bruxelles. In pole position ci sono quelle indispensabili per il funzionamento dello stesso Piano. A partire dal decreto Semplificazioni (quello che viene considerato “il vero decreto Recovery”) e da quello chiamato a definire la governance del Pnrr. Per il primo la data fissata inizialmente il 20 maggio è già destinata a slittare. Ma ritardi rischiano di accumularsi anche sugli altri provvedimenti in agenda.
Entro questo mese in tutto, come ha sintetizzato in una tabella IlSole24ore, ci sono ben sei decreti da approvare: il dl di semplificazioni delle norme sul reclutamento personale della Pa; il provvedimento normativo su cabina di regia di attuazione del piano (attuazione e monitoraggio), il dl semplificazioni e riduzione oneri burocratici in connessione all’avvio del Pnrr; il dl con misure urgenti di semplificazione dei contratti pubblici; il dl con misure urgenti di semplificazione in materia ambientale e, infine, il decreto legge in materia di edilizia, urbanistica e rigenerazione urbana. Entro luglio sono poi previste la presentazione della legge annuale sulla concorrenza e la legge delega di riforma fiscale.
Ed entro l’anno, per quanto riguarda il dossier giustizia, ci sono da approvare altre quattro leggi delega: riforma del processo civile, riforma del processo penale, riforma dell’ordinamento giudiziario (Csm) e riforma della giustizia tributaria. E si potrebbe continuare. L’elenco delle buone intenzioni – da qui al 2026 – è dettagliatissimo. Ma il problema, ovviamente, non sta nel calendario che già di per sé incute timore per ampiezza e peso specifico di ciascun provvedimento ma nella debolezza e nella litigiosità dello schieramento politico che sostiene “il governo dei migliori” e che dovrebbe garantire invece l’approvazione delle riforme nei tempi stabiliti. La Lega qualche giorno fa ha detto “che non sarà questa maggioranza a fare la riforma della giustizia e del fisco”
Una provocazione, l’ennesima, di Matteo Salvini che ha provocato l’ira del segretario del Pd. “Questo governo è qui per fare le riforme – ha replicato Enrico Letta – Se Salvini dice no, tragga le conseguenze ed esca dall’esecutivo”. E ieri Letta è tornato ad attaccare il leader del Carroccio. “La questione principale per Salvini è la competizione con Giorgia Meloni, leader di FdI. Salvini sa che la Meloni all’opposizione cresce nei sondaggi, mentre lui è in calo. E scarica questa tensione sul governo. Dobbiamo sostenere il governo e lasciarlo lavorare perché questa è una grande opportunità per l’Italia. Salvini – conclude – è un fattore di instabilità”.
Non è certamente un caso che il presidente della Repubblica sia nuovamente intervenuto per richiamare le forze politiche all’ordine. Ieri da Brescia, una delle province più colpite dal Covid, Sergio Mattarella ha detto che “questo è il tempo del rilancio”, il tempo di progettare la ripartenza “insieme”. Che “non vuol dire abbandonare le proprie prospettive, idee e opinioni ma confrontarsi costruttivamente, perché confrontarsi è ben diverso che agitare le proprie idee come motivi di contrapposizione insuperabile”.
Già mercoledì scorso, nell’incontro avuto con i presidenti di Camera e Senato, il capo dello Stato aveva fatto capire che non basta certo aver spedito a Bruxelles il Pnrr per avere i fondi. Ma che servono norme, leggi, regolamenti e riforme. Quest’ultime richiesteci dall’Europa e promesse dall’Italia non possono rimanere sulla carta, devono essere realizzate e anche celermente. Altrimenti il trasferimento delle previste risorse del programma Next Generation Eu potrebbe non esserci. Ma finora l’appello di Mattarella ai partiti affinché abbandonino la tentazione di piantare bandierine ideologiche su ogni provvedimento pare caduto nel vuoto. Tentazione che resiste anche dinanzi all’imponente Pnrr.
Per esempio farà discutere l’intervento che fissa la governance del Piano. Finora, nelle pagine inviate in Europa, lo schema per l’attuazione del Recovery prevede tre livelli con una ‘control room’ a Palazzo Chigi e il Mef a fare da controllore ma anche da interfaccia con Bruxelles. Ma ministri e partiti scalpitano per avere un posto al sole ed essere coinvolti. Al premier toccherà mediare come a Mario Draghi spetterà assicurare l’attuazione del Pnrr, compito per il quale, insieme con la campagna vaccinale, è nato l’attuale esecutivo.