Dopo la valanga di voti conquistata da Donald Trump in Iowa – Stato storicamente decisivo nelle elezioni americane – le primarie repubblicane sembrano finite prima ancora di iniziare e così, come largamente atteso, si profila all’orizzonte lo scontro bis con Joe Biden per conquistare la Casa Bianca. Qualcuno potrebbe vederci una sfida scritta nel destino con una trama degna di un film di Hollywood e sicuramente non mancherà chi ricamerà a lungo su questo duello, ma per democratici e repubblicani è l’esito peggiore possibile.
Già perché nessuno lo sta sottolineando a sufficienza ma i primi non erano affatto convinti da Joe Biden, un po’ per via dei sondaggi che lo danno perdente contro il tycoon e un po’ per via di scelte politiche discutibili, tanto che per mesi hanno tentato un forsennato pressing per farlo desistere dall’intenzione di ricandidarsi facendo trapelare l’intenzione di puntare su un candidato più giovane. Titubanze che non sono mancate anche nel quartier generale dei repubblicani dove da anni va avanti lo scontro con il magnate e che hanno fatto letteralmente di tutto, a quanto pare senza riuscirci, per trovare qualcuno capace di sfidarlo e batterlo alle primarie.
Tutti delusi
A certificarlo è proprio il voto in Iowa dove Trump ha capitalizzato più del 50 per cento dei consensi, staccando nettamente il governatore della Florida Ron DeSantis – da tanti ritenuto come l’uomo giusto per battere il tycoon – arrivato secondo con appena un pugno di voti in più rispetto all’ex ambasciatrice all’Onu Nikki Haley. Cosa ancor peggiore per i repubblicani che speravano in tutt’altro, Vivek Ramaswamy – il candidato alle primarie con posizioni pressoché identiche a quelle di Trump – è arrivato quarto e subito dopo i risultati ufficiali ha annunciato il suo ritiro dalla corsa alla Casa Bianca dichiarando il suo sostegno all’ex presidente.
Così si è arrivati al paradosso che per la prima volta nella storia americana, i due partiti – contrapposti su tutto – si trovano accomunati dal fatto che dovranno, loro malgrado, sostenere candidati che mai avrebbero voluto con il risultato che, per l’America e per il resto del mondo, comunque andrà ‘sarà un disastro’.
Emblema di questa decadenza inevitabile è proprio Trump, vicino al record storico di ben tre candidature consecutive per la corsa alla Casa Bianca, che negli ultimi anni è riuscito a trasformare le sue disgrazie giudiziarie – con 91 capi d’accusa in quattro diversi processi a suo carico – per le quali rischia una pesante condanna, in una valanga di consensi elettorali di quanti credono alle sue boutade sul presunto voto truccato che ha permesso a Biden di vincere le ultime elezioni oppure sul fatto che “i poteri forti” si stanno battendo per impedirgli la vittoria.
Il paradosso
Così gli Stati Uniti, come riporta euronews, secondo il professore di politica americana all’Università di Birmingham, Scott Lucas, si trovano davanti al grottesco caso che “Trump può candidarsi alla presidenza anche se è un criminale condannato” visto che “non c’è nulla nella Costituzione che glielo impedisca”. Anzi “c’è la possibilità che venga condannato per uno di questi presunti reati” ma “nell’ipotetico caso in cui ciò accadesse, sarebbe comunque in grado di candidarsi alle elezioni. Non si sa come eserciterebbe il suo ruolo di presidente, perché questa situazione non ha precedenti” ha concluso il professore.
Ma non va meglio neanche per i democratici che sono costretti a supportare Biden, il cui gradimento è ai minimi storici, che continua a pagare le vicende giudiziarie del figlio, un’economia che stenta e l’incapacità di conquistare il cuore degli americani. Presidente a cui l’elettorato non sta perdonando neanche l’ostinazione nel continuare ad armare a oltranza l’Ucraina di Volodymyr Zelensky, intento bloccato solo con il recente stop a nuovi fondi decretato dal Congresso, e che non gli perdonano di aver investito un fiume di denaro che avrebbero preferito veder speso per gestire le numerose emergenze interne.