In principio fu la Legge Mammì, dal nome dell’allora ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni Oscar Mammì, che riformò il sistema radiotelevisivo italiano. Era il 1990. Per quella riforma l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella (al tempo ministro dell’Istruzione) si dimise. La ragione va ritrovata in un curioso epiteto con cui venne ribattezza la riforma: “legge Polaroid”, perché di fatto si limitava a fotografare la condizione esistente legittimando la posizione dominante del gruppo televisivo di Silvio Berlusconi. Allora, però, a Palazzo Chigi ancora non sedeva il Cavaliere. Bisogna, come si sa, aspettare il 1994. E da allora, però, la musica non è cambiata. Anzi, se si vuole si è amplificata. Basta prendere in mano saggi, resoconti del tempo, manuali di sociologia della comunicazione per ricostruire quanto fatto e non fatto dai Governi del tempo e quanto poi ne abbia beneficiato, suo malgrado, Mediaset. La stessa Mediaset che oggi attacca la Rai denunciando comportamenti scorretti.
L’INIZIO DEI TEMPI – Andiamo con ordine e partiamo proprio dal 1994 con la Legge Tremonti. È il 10 giugno 1994 quando viene approvato un decreto con cui si detassano del 50% gli utili reinvestiti dalle imprese, purché riguardino l’acquisto di “beni strumentali nuovi”. Mediaset, appena nata, utilizza la legge per risparmiare 243 miliardi di lire di imposte sull’acquisto di diritti cinematografici per film d’annata. Passano tre anni e arriva un altro capolavoro, la Legge Maccanico. In base alla sentenza della Consulta del 7 dicembre 1994, la legge Mammì è incostituzionale: in sintesi Rete4 dev’essere spenta ed eventualmente passare sul satellite, entro il 28 agosto 1996. Ma il ministro delle Poste e telecomunicazioni del governo Prodi I, Antonio Maccanico, concede due proroghe in attesa di una legge. Che arriva il 24 luglio 1997: gli editori di tv, come stabilito dalla Consulta, non potranno detenere più del 20% delle frequenze nazionali disponibili, dunque una rete Mediaset è di troppo. Ma a far rispettare il tetto dovrà provvedere la nuova Authority per le comunicazioni (Agcom), che potrà entrare in azione solo quando esisterà in Italia “un congruo sviluppo dell’utenza dei programmi televisivi via satellite o via cavo”. Nel frattempo Rete4 resta nelle mani del Cavaliere in perpetuum, anche grazie a nuove proroghe su proroghe, una del Governo presieduto da Massimo D’Alema e l’altra, nel 2003, del Governo di Berlusconi: in questo caso la proroga viene firmata alla vigilia di Natale.
IL FAMIGERATO “SIC” – Arriviamo così alla famigerata legge che prende il nome dall’attuale senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri. Rete4 può restare nelle mani del Cavaliere perché il precedente tetto antitrust del 20% sul totale delle reti non va più calcolato sulle 10 emittenti nazionali, ma su 15 (compresa Telemarket). Dunque Mediaset può tenersi le sue tre televisive, compresa Rete4. Quanto al tetto pubblicitario del 20%, viene addirittura alzato grazie al trucco del “Sic” (Sistema Integrato delle Comunicazioni), che include un panel talmente ampio di situazioni da sfiorare l’infinito. Come racconta Marco Travaglio in uno dei suoi saggi, è lo stesso Confalonieri che ieri ha parlato a calcolare che Mediaset potrà espandere i ricavi di 1-2 miliardi di euro l’anno. Ma il 16 dicembre Carlo Azeglio Ciampi, allora inquilino del Quirinale, rispedisce la legge al mittente: è incostituzionale. La si ripresenta molto simile e questa volta viene approvata. È il 29 aprile 2004.
DAL DIGITALE AL DECODER – Dopo le incredibili lungaggini per l’approdo del digitale (nonostante fosse promesso sempre dalla Legge Gasparri), la “guerra” è stata intrapresa con Sky. Il 28 novembre 2008 il governo raddoppia l’Iva a Sky, la pay-tv di Rupert Murdoch, principale concorrente di Mediaset, portandola dal 10 al 20%. Il 17 dicembre 2009 il governo Berlusconi vara il decreto Romani che obbliga Sky a scendere entro il 2013 dal 18 al 12% di affollamento orario di spot.