di Mimmo Mastrangelo
Fino ad oggi Marino Auriti era rimasto pressoché sconosciuto, pure fra gli stessi addetti ai lavori. Ma con la cinquantacinquesima Biennale D’Arte di Venezia, che si inaugura il primo giugno per rimanere aperta fino al prossimo 24 novembre, intorno al suo nome sicuramente scatterà curiosità e una forte voglia di riscoperta.
Artista outsider, visionario ed autodidatta, Marino Auriti nel 1955 (da pochi anni era arrivato negli Stati Uniti da Guardiagrele, in provincia di Chieti) presentò all’ufficio brevetti americano il progetto del “Palazzo Enciclopedico”, consistente in un imponente grattacielo di settecento metri che a Washington avrebbe dovuto accogliere su 136 piani e 16 isolati il sapere e le creazioni di tutto il mondo e di ogni tempo.
A questo imponente ed utopistico museo, mai realizzato e rimasto solo in forma di plastico, il giovane e in carriera neodirettore della Biennale Massimiliano Gioni si è ispirato per proporre ai visitatori dell’Arsenale e dei Giardini il suo “Palazzo Enciclopedico”.
Ovvero un megacontenitore pensato per accostare l’arte contemporanea a reperti storici ed artefatti, per puntellare nei vari padiglioni un tracciato che va dell’inizio del novecento ad oggi.
Annota Gioni nel catalogo (edito dalla Marsilio) che l’edizione di quest’anno “è una mostra sulle ossessioni e sul potere trasformativo dell’immaginazione”, assemblata come se fosse una sorta di Uffizi della contemporaneità, che mette insieme una tale quantità di artisti ed opere da lasciare sopraffatti gli sguardi e le suggestioni del pubblico.
Attenzione, però: questa irrefrenabile voglia di stupire e strabiliare del quarantenne critico d’arte di Busto Arsizio con un progetto che assomma un inventario vastissimo (enciclopedico, appunto) di artisti, opere, stili e ricerche, potrebbe rivelarsi un guazzabuglio tale da generare alla fine della giostra solo stroncature e dissapore tra la critica. Staremo a vedere.
Intanto i numeri dicono che la Biennale 2013, ospita ottantotto Nazioni (dieci presenti per la prima volta) e centocinquantotto artisti tra cui fuoriclasse del calibro di Cindy Sherman, Steve McQueen, Richard Serra, Pawel Althamer, Rosermarie Trockel.
Il padiglione Italia, invece, si presenta con opere di quattordici artisti (tra gli altri, Giulio Paolini, Luigi Ghirri, Gianfranco Baruchello, Francesca Grilli, Piero Golia) e il suo curato Bartolomeo Pietromarchi, che ha dato alla sezione il titolo “Vice versa”, afferma che con questa esposizione “proviamo ad interrogarci su cosa significhi parlare di arte italiana e di come essa si inserisca in una prospettiva globale e contemporanea”.
Senza dubbio desterà attrazione il padiglione della Santa Sede, per la prima volta a Venezia, per la curatela del direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, e del Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, Cardinale Gianfranco Ravasi il quale, senza farsi remote, ha sostenuto che “Dio c’è anche nell’arte contemporanea”.
A rappresentare il Vaticano nella mostra “In principio” ci sono lo statunitense Lawrence Carroll, il fotografo ceco Josef Koudelka e Studio Azzurro, collettivo d’avanguardia fondato nel 1982 da Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi che per l’occasione hanno creato un altro dei loro celebri ambienti sensibili in cui una serie di figure immateriali si animeranno al contatto delle mani del visitatore, tale da generare una rappresentazione sul mondo dove realtà ed immaginazione si intrecciano in unica sintassi.
Il Leone d’oro alla carriera viene questo anno consegnato a Marisa Merz. Una riconoscenza meritatissima per la “signora dell’arte povera”.