La ricerca disperata del dibattito – seppur greve – che possa alimentare le vendite ha portato il Corriere della sera a intervistare per l’ennesima volta il generale Roberto Vannacci. Il militare ha potuto così per l’ennesima volta coronare la proiezione di sé stesso povero censurato in un Paese che tratta i suoi rigurgiti scritti come libri, le sue idee primitive come vangeli apocrifi e i suoi desideri come destini di una nazione.
In quell’intervista non c’è nulla di diverso dal vannaccismo che ci frantuma da mesi: un tizio dice cose cretine per diventare popolare, la popolarità delle sue cose cretine lo mette di fronte alle sue responsabilità, quello frigna urlando alla censura (e invece è solo gente che sottolinea la cretineria delle sue affermazioni) e infine un partito cretino gli offre una candidatura e un costume di scena per la parte del martire.
In mezzo a tutto questo il giornalista del Corriere chiede al generale se la democrazia in Italia sia un pericolo e Vannacci risponde che “la democrazia deve rispondere ai bisogni dei cittadini. Gli antichi romani in tempo di crisi trasformavano i consoli in dittatori, sino al ripristino della normalità. Nelle crisi le dittature tendono a essere più efficienti. Per questo – dice – dobbiamo dare alla democrazia gli strumenti per affrontare le emergenze”.
L’idea della dittatura come elemento per il ripristino della normalità nella bocca di un militare è di una gravità enorme e aggiunge al prossimo candidato della Lega anche la medaglia della pericolosità oltre a quella della cretineria. L’episodio è anche la fotografia dello sbilanciamento istituzionale a cui stiamo assistendo.