Il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, sostiene che gli stipendi dei professori potrebbero subire una differenziazione regionale per adeguarli al costo della vita dei vari territori in cui si insegna. Una proposta che ha sollevato un polverone di polemiche da parte delle opposizioni e dei sindacati contrari alla proposta.
Anna Laura Orrico, capogruppo M5S in commissione Istruzione della Camera ed ex sottosegretario ai Beni culturali del Conte bis, cosa ne pensa?
“Quella descritta da Valditara è una scuola delle disuguaglianze. Garantire stipendi più alti al Nord perché il costo della vita è più alto non ha nulla a che vedere con il merito, né tiene conto degli sforzi enormi che molti docenti mettono in campo in contesti disagiati, dove la scuola rappresenta il principale presidio democratico. Se dovesse passare questo principio si potrebbe applicare a tutte le categorie, vale a dire riesumare le gabbie salariali”.
Ritiene che questo possa essere il primo passo dell’Autonomia differenziata che ha in mente la Lega?
“Non so se è il primo passo ma di certo è uno dei più pericolosi. Il mix tra quanto dice Valditara e la regionalizzazione paventata da Calderoli sarebbe letale per la scuola pubblica. Queste dichiarazioni tradiscono peraltro le rassicurazioni di altri ministri e presidenti di regione di centrodestra del Sud – Occhiuto in primis – sul fatto che l’autonomia non penalizzerà il Sud. Anche su questo sono spaccati”.
Comunque è indubbio che esista una questione salariale da affrontare per i nostri docenti.
“Certo. Ma distinguere tra docenti di serie A e di serie B è il modo più sbagliato di affrontare la questione. Gli stipendi vanno alzati per riconoscere il ruolo fondamentale degli insegnanti nella società, con incentivi a chi punta sulla formazione e sull’innovazione o agisce in contesti di disagio. Valditara non ha speso una parola sul precariato, ma non si è fatto scrupolo a mettere radicalmente in discussione l’assetto del contratto collettivo nazionale. Mi chiedo se un ministro dell’Istruzione possa spingersi a tanto”.
Il ministro ritiene che il sistema pubblico non abbia le necessarie risorse per investire nella scuola e invoca l’intervento dei privati, condivide?
“Nessuno cade dal pero. Siamo consci della carenza cronica di risorse, ma si tratta di volontà politica: se il governo lo vuole può realizzare investimenti sulla scuola. Noi lo abbiamo dimostrato con il governo Conte, quando solo per fronteggiare la pandemia investimmo quasi 10 miliardi in un anno. Meloni e Valditara hanno programmato solo tagli e zero investimenti per il diritto allo studio, zero per la lotta alla dispersione, zero per combattere il precariato”.
Anche qui non si corre il rischio che le aziende possano privilegiare solo alcuni istituti in determinati territori creando ulteriori disparità nella scuola pubblica?
“Sì. Il rischio non è tanto quello di aumentare il gap non solo tra Nord e Sud, ma soprattutto tra centro e periferia e tra grandi e piccoli centri. E ovviamente non si può correre il rischio neppure lontano che ci siano interferenze indebite sulla formazione dei nostri studenti”.
E ancora: il ministro punta sempre sull’alternanza scuola-lavoro e propone di arruolare professionisti a contratto provenienti dal mondo delle aziende.
“Sull’alternanza servono soluzioni molto più di ampio respiro che mettano la sicurezza e le aspirazioni degli studenti al centro di ogni strategia. Tutto il resto francamente viene dopo”.