Nel groviglio di ambizioni e vendette che oggi caratterizza la politica europea, il Partito popolare europeo (Ppe) sembra aver imboccato la strada che lo porta sempre più vicino alla destra sovranista, abbracciandone linguaggio e strategie. I recenti attacchi alla candidata socialista Teresa Ribera sono emblematici di una nuova fase: l’aggressività verbale, già conosciuta nei circoli dell’estrema destra, si manifesta anche tra i Popolari, soprattutto sotto la guida del capogruppo Manfred Weber.
A Bruxelles, Ribera, già vicepremier del governo Sanchez e candidata a vicepresidente della Commissione, è stata oggetto di critiche personali e virulente che lasciano poco spazio alla diplomazia. Il Ppe, e in particolare il Partido Popular spagnolo, sembrano decisi a indebolirla, alimentando una polarizzazione che rischia di bloccare l’Europa in un momento critico.
L’assalto a Ribera: tra ambizioni e vendette
L’aggressione del Ppe a Ribera infatti ha gettato nel caos la coalizione europeista che aveva sostenuto Ursula von der Leyen. Il patto tra popolari, socialisti e liberali sembra essersi infranto nel momento in cui il Ppe ha annunciato che non sosterrà Ribera. La rottura è una minaccia alla stessa maggioranza pro-europea, come ha evidenziato la presidente del gruppo socialista, Iratxe Garcia Perez, denunciando l’atteggiamento distruttivo del Partido Popular spagnolo. Al tempo stesso, il Ppe pretende che il Parlamento europeo approvi Raffaele Fitto come vicepresidente, un ruolo che il gruppo sovranista Ecr – di cui Fitto fa parte – intende usare come leva politica.
Non è un segreto che l’Europa stia cercando faticosamente un compromesso per la prossima Commissione, prevista in carica dal primo dicembre. Alla tensione tra Ppe e socialistici si aggiunge l’intervento diretto di leader come Giorgia Meloni, che utilizza la retorica del “voto contro l’Italia” per difendere la candidatura di Fitto, dimenticando il precedente del suo partito con Paolo Gentiloni. La presidente del Consiglio italiana, allineandosi al Ppe, dipinge ogni dissenso su Fitto come un attacco al Paese, sfruttando una narrazione nazionalista che punta il dito sui socialisti europei, accusati di discriminare l’Italia. Ma la realtà è ben diversa: i socialisti fanno formalmente parte della maggioranza pro-Europa, mentre il gruppo Ecr, cui appartiene Fitto, no.
Nel tentativo di trovare una via d’uscita, von der Leyen ha cercato di mediare tra le parti, incontrando Weber, Garcia Perez e la presidente dei liberali di Renew, Valérie Hayer. Tuttavia, anche questi tentativi di riconciliazione sono falliti, trasformando ogni incontro in una sequela di accuse e recriminazioni. I socialisti, esasperati, hanno deciso quindi di non appoggiare Fitto né il commissario ungherese Oliver Varhelyi, vicino al governo di Viktor Orban, che il Ppe invece difende. In risposta, Weber ha lanciato un ultimatum: il Ppe sosterrà Ribera solo se socialisti e liberali daranno via libera a Fitto e Varhelyi. Un aut aut aggravato dalle richieste che Ribera si presenti davanti al Congresso spagnolo per giustificare la sua gestione delle recenti inondazioni in Valencia e che si dimetta in caso di inchiesta.
Una Commissione ostaggio del sovranismo?
Dietro la facciata di questo braccio di ferro c’è una partita tutta politica più di potere che di ideali. Il Ppe sembra volersi assicurare un controllo sempre più forte sulle istituzioni europee, utilizzando la retorica populista e l’aggressività che da sempre caratterizzano i suoi alleati sovranisti. La pressione esercitata su Ribera e il sostegno granitico a Fitto dimostrano un cambio di passo. Lo stesso Fitto è diventato una pedina in questo gioco di potere, trasformato in simbolo di una battaglia tra opposti schieramenti. Lungi dall’essere una semplice contesa su incarichi istituzionali, la crisi getta un’ombra sulla capacità della futura Commissione di garantire un governo stabile all’Europa.
I liberali, intanto, osservano con preoccupazione l’escalation, mentre l’immobilismo del Ppe rischia di lasciare scoperta la Commissione di von der Leyen proprio quando l’Unione dovrebbe fare fronte comune su questioni cruciali come la transizione climatica, la sicurezza e la gestione delle crisi internazionali. La stessa Ursula von der Leyen è in bilico, la sua figura messa in discussione dalla radicalizzazione delle posizioni del suo partito, che mina la sua autorità come presidente di una coalizione sempre più frammentata. In quest’ottica, Fitto diventa la leva per condizionare non solo i socialisti ma anche von der Leyen, spingendola a sostenere una linea più conservatrice in cambio della stabilità istituzionale.
Il rischio quindi è che la Commissione nasca debole, ostaggio di un equilibrio instabile tra i compromessi necessari per accontentare ciascun gruppo. L’appoggio del Ppe a Varhelyi, commissario ungherese, è particolarmente delicato: il suo profilo è rifiutato da molti, sia per le sue posizioni filo-Orban, sia per la mancanza di fiducia che ispira nel Parlamento europeo.
Ora, la palla passa ai socialisti e ai liberali. Se non faranno un passo indietro, il voto del 27 novembre potrebbe diventare il terreno di scontro definitivo, con il rischio di una Commissione bloccata prima ancora di partire.