Il muro di omertà sull’uranio impoverito si sta sgretolando. Dopo anni di silenzi e sottovalutazioni, sono gli stessi ufficiali dell’Esercito a denunciare che, anche quando erano abbondantemente noti i rischi a cui andavano incontro i militari impegnati nelle missioni internazionali di pace, i vertici della Difesa hanno lasciato le truppe esposte al pericolosissimo materiale causa di tumori. Dopo le dichiarazioni del generale Roberto Vannacci, ex comandante della missione in Iraq, che con la sua denuncia ha fatto aprire un’indagine sia alla Procura della Repubblica di Roma che alla Procura militare, arrivano quelle del tenente colonnello Fabio Filomeni, decorato con la croce di bronzo al merito per la sua attività in Bosnia ed ex responsabile dei servizi di prevenzione e protezione nelle missioni internazionali.
Il generale Vannacci ha denunciato “gravi e ripetute omissioni nella tutela della salute e della sicurezza del contingente militare italiano”, specificando che l’allora comandante del Comando operativo di vertice interforze e attuale capo di stato maggiore della Marina Militare, Giuseppe Cavo Dragone, avrebbe assicurato che in quelle aree ogni militare non veniva lasciato più di quattro mesi, mentre la permanenza effettiva sarebbe stata di 6-9 mesi. Sulla stessa linea ora il tenente colonnello Filomeni.
“Prima di tutto ci tengo a specificare che sono un soldato, uno che ha tenuto i piedi nel fango per 25 anni in uno tra i reparti più operativi dell’Esercito, il 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti Col Moschin, e poi circa 12 anni fa sono stato impiegato nella prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro”, specifica Filomeni prima di concedere a La Notizia un’intervista. Tanto per chiarire che non è uno dei tanti commentatori da scrivania. Con il comando assegnato in Iraq al generale Vannacci, quest’ultimo venne anche nominato dal Coi datore di lavoro ai sensi del testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. E l’ufficiale chiese al collega Filomeni di occuparsi della prevenzione e protezione.
“Ci conosciamo da più di 30 anni – racconta il tenente colonnello – e ho accettato, arrivando in Iraq il 1 maggio 2018. Ho fatto ricerche su fonti aperte e scoperto immediatamente che stime ufficiali parlavano di 300mila tunnellate di munizionamento all’uranio impoverito impiegate in quell’area nelle due guerre del 1991 e del 2003”. Filomeni prosegue quindi specificando che mancavano i requisiti di legge affinché Vannacci potesse essere nominato datore di lavoro, incarico che presuppone autonomia decisionale per spese e valutazione dei rischi.
“Il rischio uranio impoverito – assicura l’ufficiale – era alto. In Iraq è stato utilizzato un quantitativo di tali munizioni dalle 30 alle 100 volte superiore a quello utilizzato in Kosovo, dove la Nato ha ammesso di aver sganciato 10 tonnellate di quel materiale. E studi in atto sulla popolazione irachena hanno accertato un incremento spropositato di patologie tumorali. Ma il Coi, davanti a tale quadro, per tutta risposta ha fatto un richiamo verbale al generale Vannacci, dicendo che a loro quelle informazioni non risultavano e che le stesse le avrebbe dovute far transitare su canali riservati, mentre parliamo di notizie di pubblico dominio”.
Protezioni ai militari? “Nessuna. L’unica era quella di ridurre il tempo di esposizione. Tanto che il generale Vannacci chiese di non far stare i soldati più di sei mesi in Iraq, mentre regolarmente venivano lasciati lì 9 e anche 12 mesi. Chiese anche delle caratterizzazioni del suolo, ma gli esiti non sono mai pervenuti”.