Altro che relazione firmata come atto dovuto e che non sarebbe mai stata utilizzata come arma contro i militari malati di tumore. Il rapporto sottoscritto dai ministri della difesa, Elisabetta Trenta, e della salute, Giulia Grillo, e presentato al Parlamento, relativo ai carabinieri e ai soldati che hanno svolto missioni in Bosnia e Kosovo, senza adeguate protezioni nonostante quelle zone fossero contaminate dall’uranio impoverito impiegato in diversi proiettili, nega un nesso di causalità tra le neoplasie che hanno colpito molti di quei militari e le sostanze a cui sono stati esposti. Un’analisi fatta da burocrati ministeriali, che la Difesa aveva assicurato non sarebbe stata tenuta in considerazione. Nel giro di un mese, però, prima è stata usata in tribunale per cercare di negare gli indennizzi ai militari che hanno fatto causa al dicastero retto dalla Trenta e ora dal Comitato di verifica cause di servizio, sempre per evitare i risarcimenti.
SCHIAFFO A CHI SOFFRE. Alla fine del mese scorso, per fare un esempio, il Comitato incaricato di esaminare la richiesta di indennizzi avanzata da un militare, che tra il 2000 e il 2001 è stato in missione in Bosnia e tra il 2004 e il 2005 in Kosovo, ha sostenuto che da quelle aree non sono state fatte segnalazioni di episodi o condizioni ambientali di esposizione a uranio impoverito. Il mieloma che affligge il militare, per lo stesso Comitato, non dipenderebbe dunque da cause di servizio, ritenendo che non vi siano stati per lo stesso dei fattori “potenzialmente idonei a dar luogo a una genesi neoplastica”. Di più: “Da escludere ogni nesso di causalità o lesioni imputabili al servizio che col tempo possano essersi evolute in senso metaplastico”.
LA GIUSTIZIA NON ARRETRA. Mentre il Ministero della difesa, nonostante le promesse del ministro Trenta e le attività in corso per giungere a varare una legge ad hoc, continua a negare ai militari anche che i tumori di cui sono vittime sono stati causati dall’esposizione all’uranio impoverito nei Balcani, dalle aule di giustizia continuano a piovere condanne. Il Tribunale di Roma si è appena pronunciato sul decesso di un maresciallo dei carabinieri reduce dal Kosovo, specificando che il cancro che lo ha portato alla morte è stato causato dall’utilizzo “di proiettili a base di uranio impoverito” e dalla “successiva “dispersione di microparticolato metallico”.
NON BASTA UNA SENTENZA. Un calvario inoltre anche per chi ha una sentenza definitiva di condanna della Difesa, che obbliga lo Stato a pagare i risarcimenti stabiliti. La vedova di un altro carabiniere da ottobre sta cercando di ottenere quello che è un suo diritto, ma invano. “Sono stanca e aspetto fino al 10 luglio – dichiara la donna – poi prenderò altri provvedimenti. Mi hanno anche costretta a pagare le tasse su somme che ancora non mi vengono elargite e continuano a non pagare. Una vergogna”.