Quella che sta per iniziare sarà una settimana decisiva per delineare la conformazione dei prossimi vertici dell’Unione Europea. Come da programma, il 27 e 28 giugno si riunirà il Consiglio Europeo, dove i leader dei 27 Paesi Ue saranno chiamati a decidere se accettare i nomi già sul tavolo, ossia Ursula von der Leyen per la Commissione Ue, Antonio Costa per il Consiglio Europeo e Kaja Kallas come Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, oppure se virare su qualche altra personalità capace di superare i veti incrociati che fin qui si sono scambiati i vari gruppi europei.
Nell’Unione europea è tutti contro tutti
La sensazione è che per arrivare a dama nel Consiglio Europeo della prossima settimana, quando sulla carta basterà la maggioranza qualificata per chiudere la partita, servirà ancora una lunga trattativa. Secondo Politico.eu, tecnicamente von der Leyen, o un eventuale nome uscito dal cilindro all’ultimo secondo, non avrebbe bisogno del sostegno di tutti i leader dell’Ue, quindi potrebbe fare a meno dell’appoggio della premier Giorgia Meloni.
Tuttavia, il quotidiano, citando Sophia Russack, ricercatrice presso il think tank basato a Bruxelles Center for European Policy Studies, fa notare come non sembra possibile scegliere “un nuovo presidente della Commissione senza il sostegno del primo ministro italiano” che, a conti fatti, guida il gruppo dei Conservatori – diventato il terzo per numero nell’Europarlamento, ed è l’unica leader ad essere uscita rafforzata dalle urne. Rapporti di forza a Bruxelles che stanno continuando a cambiare, con i liberali di Emmanuel Macron che continuano a perdere pezzi visto l’addio del partito guidato dall’ex primo ministro ceco Andrej Babis, Ano 2011, che amplia ulteriormente il divario con il gruppo dei conservatori di Meloni.
Davanti a questo scenario, per Politico appare impossibile “continuare a ignorare Meloni” che, per giunta, ha già manifestato irritazione per “nomine fatte a tavolino”, in cui lei rischia di non toccare palla, e che chiede per l’Italia “un portafoglio economico di primo piano” insieme a una vicepresidenza esecutiva. Per questa, sempre secondo Politico, “uno dei nomi più gettonati è quello del ministro Raffaele Fitto”.
Poche, invece, le possibilità di portare l’attuale capo dell’intelligence, Elisabetta Belloni, all’incarico di Alto Commissario per la Politica Estera dell’Ue, visto che l’accordo siglato tra popolari, socialisti e liberali per quel ruolo già prevede la Kallas. Quel che è certo è che la Meloni si trova davanti a un bivio tra l’appoggiare von der Leyen, rinnegando mesi di battaglie politiche e di fatto mettendosi contro il suo stesso gruppo dei conservatori, oppure schierarsi all’opposizione, magari garantendo a Ursula il solo appoggio esterno, mettendosi in una posizione più che secondaria nell’Europa che conta.
Le bordate di Orbán sull’accordo per il bis di Ursula nell’Unione europea
Davanti a questa situazione più che ingarbugliata, a provare a sparigliare le carte ci sta pensando il primo ministro ungherese, Viktor Orbán. Quest’ultimo, rimasto fuori dal gruppo dei conservatori di Meloni, che hanno preferito il partito di estrema destra romeno Aur, con cui Fidesz – il partito del leader di Budapest – è da tempo ai ferri corti, è tornato a sparare sui nomi già sul tavolo di Bruxelles, puntando il dito sui popolari rei di tramare con socialisti e liberali anziché far svoltare a destra l’Europa.
Nella sua consueta intervista a Kossuth Radio, ha criticato la “coalizione dei liberali, della sinistra e del Partito Popolare Europeo, guidata da Manfred Weber, che ha un ruolo di Belzebù”, sostenendo che tale gruppo porta avanti “politiche dannose per l’Ungheria e divergenti dai valori ungheresi” in quanto è “favorevole alla guerra, favorevole all’immigrazione e antieconomica”. Tutte ragioni per le quali, secondo Orbán, i tre gruppi principali dell’Europarlamento stanno “tradendo” il voto degli europei che alle ultime elezioni hanno chiesto un cambiamento della linea bellicista fin qui portata avanti.