Ancora brutte notizie per il governo guidato da Giorgia Meloni sul fronte economico. Non solo l’inflazione che scende molto più lentamente del previsto, ora arrivano anche dati tutt’altro che incoraggianti sulla crescita. Un problema non di poco conto in vista di una manovra che dovrà mettere in campo diversi miliardi per confermare il taglio del cuneo fiscale, applicare la rivalutazione delle pensioni e introdurre la riduzione delle aliquote Irpef.
Gli ultimi dati sono quelli del centro ricerche del Ref che, nella nota sulla congiuntura, parla di una “battuta d’arresto” per la ripresa. La crescita per il 2023 si fermerà all’1,1%, un dato positivo, certo, ma il governo Meloni sperava in una ripresa molto più robusta per poter contare su risorse aggiuntive in vista della legge di Bilancio. Speranza che rischia di rimanere delusa.
Nel 2023 la crescita non decolla
Il 2023 doveva essere il momento della ripresa dopo l’anno post-pandemia e in cui a farla da protagonista è stata la crisi energetica. Per l’anno in corso si prevede invece una crescita dell’1,1%, in calo allo 0,8% per il 2024 e poi all’1% nel 2025.
Per quanto riguarda i prezzi al consumo, invece, si attende un aumento del 5,8% quest’anno, poi del 2,4% nel 2024 e del 2,2% nel 2025. L’inflazione ha iniziato a scendere, ma a velocità inferiore rispetto alle aspettative. Così la Bce applica un rialzo dei tassi che porta i consumatori a spostarsi verso i servizi, con una conseguente frenata dell’attività industriale e del commercio mondiale.
Segnali poco confortanti anche per l’industria nell’area euro, che mostra segnali di cedimento che si riscontrano anche in Italia, dove a inizio anno le cose andavano meglio. In generale l’economia rallenta e le preoccupazioni del governo per i conti e per il prossimo anno sono inevitabili.
Perché la crescita in frenata deve preoccupare Meloni
L’economia, sottolinea quindi il Ref, rallenta e si indirizza verso un “2024 che si annuncia impegnativo”. Anche per il ritorno delle regole del Patto di stabilità europeo e, conseguentemente, degli obiettivi sulla riduzione del deficit pubblico. Uno scoglio non di poco conto in vista della manovra, con il governo costretto a fare i conti con regole di nuovo stringenti sul debito, con spese ingenti per confermare diverse misure e con un’economia che cresce meno di quanto sperato.
Altro dato fornito dal Ref e ritenuto preoccupante è quello sull’indebitamento netto: sarà -4,8% quest’anno, poi -4,2% nel 2024 e -3,4% nel 2025. Per il debito, invece, si prevede un calo al 139,9% quest’anno, poi al 138,9% nel 2024 e infine al 138,5% nel 2025. Tutti questi dati non lasciano ben sperare in vista della manovra, quando il governo sarà chiamato a rinnovare il taglio del cuneo fiscale (costo da 10-12 miliardi), ridurre le aliquote Irpef, rinnovare i contratti del pubblico impiego, applicare la rivalutazione delle pensioni. Una serie di misure con costi altissimi e che rischia, almeno in parte, di saltare.