Una toppa peggio del buco, il governo sforna un decreto Albania ma rischia un’altra figuraccia

Una toppa peggio del buco, il governo di Giorgia Meloni sforna un decreto Albania ma rischia un’altra figuraccia

Una toppa peggio del buco, il governo sforna un decreto Albania ma rischia un’altra figuraccia

Giorgia Meloni forza la mano e fa approvare in fretta e furia dal Consiglio dei ministri di ieri il decreto legge con cui intende porre, a modo suo, “soluzione” al “problema” nato dalla decisione del Tribunale di Roma che non ha convalidato il trattenimento dei migranti all’interno del Cpr in Albania. Un provvedimento che rende norma primaria e non più secondaria, come è invece il decreto del ministro degli Esteri, di concerto con quelli di Interno e Giustizia, l’indicazione dei Paesi sicuri, quelli verso cui è più facile disporre i rimpatri. Norma primaria, ovvero una regola che il giudice dovrà obbligatoriamente prendere in considerazione. L’Esecutivo potenzia così la norma italiana nel suo braccio di ferro con i magistrati che invece finora hanno fatto prevalere le ragioni del diritto comunitario. Con il decreto diventa “fonte primaria l’indicazione dell’elenco di 19 Paesi sicuri sugli originali 22: abbiamo tenuto conto dell’integrità territoriale ed escluso Camerun, Colombia e Nigeria”, spiega il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi nella conferenza stampa successiva all’approvazione del decreto.

Conferenza stampa in cui continua il braccio di ferro con i giudici che hanno bocciato il trattenimento dei migranti in Albania. Il nostro provvedimento “nasce da una sentenza della Corte di giustizia europea molto complessa e articolata e anche scritta in francese, probabilmente non è stata ben compresa o ben letta” dai giudici, attacca il ministro della Giustizia Carlo Nordio. “Il nocciolo della sentenza della Corte di giustizia europea è che il giudice deve, nel momento in cui si pronuncia, dire in maniera esaustiva e completa, nel caso di specie, quali siano le ragioni per cui per quell’individuo quel determinato Paese non è ritenuto sicuro. Nelle motivazioni dei decreti al centro del dibattito in questi giorni” questo non c’è, insiste il Guardasigilli. “I soggetti sono di cittadinanza incerta e la loro provenienza è dichiarata da loro stessi, non hanno documenti e non c’è nessuna prova che arrivino da determinati Paesi, il che significa devolvere all’arbitrio di queste persone la definizione dei parametri di sicurezza o meno dai quali dicono di arrivare”, spiega il ministro della Giustizia.

“Leggete i dieci decreti del tribunale di Roma e vedrete se, tolte le prime quattro pagine che hanno solo premesse tecnico giuridiche, le cinque righe dedicate a questa motivazione siano in linea con i cinque lunghi paragrafi della sentenza”, incalza Nordio. Che assicura: “Nel momento in cui l’elenco dei Paesi sicuri è inserito in una legge, il giudice non può disapplicarla”. Alla domanda sui costi dei Cpr fuori dall’Italia risponde Piantedosi: ha dei costi il sistema per portare i migranti in Albania, “ma quanto ci costa distribuire i migranti tutti i giorni da Lampedusa a Pozzallo o Porto Empedocle? E quanto ci costa il sistema di accoglienza? Il Viminale spende ogni anno 1,7 miliardi di euro per dare assistenza a persone che per il 60-70% dei casi sono destinate a vedersi bocciata la domanda di asilo”. Anche la Commissione Ue torna sull’intesa Italia-Albania.

“Siamo a conoscenza della situazione e siamo in contatto con le autorità italiane”, ha dichiarato una portavoce dell’esecutivo Ue ricordando che le misure applicate nelle strutture albanesi “devono essere pienamente conformi con il diritto comunitario e non devono indebolirlo”. Intanto la richiesta – presentata dal gruppo dei Verdi e sostenuta da Liberali, Socialisti e Sinistre Ue – di aggiungere al calendario della Plenaria dell’Eurocamera un dibattito sulle “conseguenze della sentenza del tribunale di Roma in merito all’accordo tra Italia e Albania” è stata respinta grazie all’asse tra il Ppe, i conservatori di Ecr, i Patrioti ed il gruppo dei sovranisti di Esn.