A marzo di quest’anno le opposizioni avevano lanciato l’allarme: il recondito sogno della maggioranza di rivedere il reato di tortura era un pericolo reale. Oggetto della discussione fu un disegno di legge per abrogare il reato di tortura introdotto nell’ordinamento italiano nel 2017 dopo un tormentato iter parlamentare. A presentarla, alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, prima firmataria Imma Vietri.
Il ddl Vietri che punta a rivedere il reato di tortura arriva in Commissione al Senato. Maglie più larghe per gli agenti violenti
Con il provvedimento, assegnato in Commissione Giustizia del Senato, si intendono di fatto abrogare gli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale che introducevano il reato e si lascia in piedi solo una sorta di aggravante all’articolo 61 del codice penale. “L’incertezza applicativa in cui è lasciato l’interprete” con le norme introdotte nel 2017, “potrebbe comportare la pericolosa attrazione nella nuova fattispecie penale di tutte le condotte dei soggetti preposti all’applicazione della legge, in particolare del personale delle Forze di polizia che per l’esercizio delle proprie funzioni – spiegano i firmatari nella relazione al ddl – è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica”.
Se non si abrogassero gli articoli 613-bis e 613-ter, si legge ancora “potrebbero finire nelle maglie del reato in esame comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d’applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico particolarmente delicate o la collocazione di un detenuto in una cella sovraffollata”.
Negli ultimi mesi il governo si è affrettato a sminuire l’allarme spiegando che l’abolizione o la modifica del reato di tortura non era all’ordine del giorno, ma ieri in commissione Giustizia del Senato c’è stato l’esame di due disegni di legge che propongono di allargare le maglie della legge vigente fino a renderla omeopatica. Uno prevede la modifica (M5S) e l’altro (FdI) l’abrogazione, declassando la tortura ad aggravante comune. Con l’abolizione prevista dalla proposta di Fratelli d’Italia, che sottintende di conseguenza la derubricazione ad aggravante comune, si elimina la punibilità di chi utilizza la tortura come uno strumento di sopraffazione e, quindi, ciò risulta rischioso e non conforme con l’etica collettiva.
Un risultato simile potrebbe presentarsi anche con una modifica, definita “migliorativa”, della disciplina attualmente in vigore. Il rischio, qui, è quello di rallentare o eliminare i processi e le procedure già in corso e di far cadere in prescrizione i reati, come dichiarato anche dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale.
Presentato un testo che riduce il reato per i pubblici ufficiali. Amnesty scrive a La Russa per fermare il blitz
Sul tentativo di abrogazione nei giorni scorsi è intervenuta anche Amnesty International con un appello al presidente del Senato Ignazio La Russa in cui si sottolinea che dopo quasi trent’anni dalla ratifica della Convenzione Onu contro la tortura da parte dell’Italia (nel 1989), finalmente, nel 2017 il Parlamento ha adempiuto all’obbligo di introdurre nell’ordinamento penale il reato di tortura punendo in maniera adeguata gravissime violazioni della dignità umana e dell’integrità psichica e fisica delle persone compiute da pubblici ufficiali.
“È pertanto motivo di grande preoccupazione che a soli sei anni dall’introduzione del reato, il parlamento si appresti a discuterne la possibile abrogazione e la sua derubricazione ad aggravante comune. – scrive l’organizzazione – In questi sei anni, nelle carceri e in altri luoghi di detenzione, non sono purtroppo mancati episodi di violenza perpetrati da pubblici ufficiali di gravità e caratteristiche tali da essere perseguiti come atti di tortura”. Per questo Amnesty chiede di respingere “ogni ipotesi di abrogazione del reato di tortura” e di adoperarsi piuttosto “per il suo rafforzamento”.