Conosciamo bene il pensiero critico del professor Paolo Savona sull’Unione europea. È stato, d’altronde, uno dei motivi per cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha obbligato i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, a preferire nel ruolo di ministro dell’Economia Giovanni Tria. Eppure, anche nel ruolo relegato di ministro per le Politiche Ue, Savona sta provando a dare il suo concreto contributo a un cambiamento interno all’Unione europea. Basta leggere le 230 pagine della “relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea” per avere un’idea precisa e concreta di quali siano gli obiettivi di Savona. Il dossier, ovviamente, si occupa di tutti i campi di intervento comunitario. Non solo economia, dunque. Ma anche fondi europei, agricoltura, ambiente. Senza dimenticare la delicata questione relativa ai flussi migratori.
Già nelle premesse, però, si capisce che l’obiettivo di Savona – contrariamente a quello che si possa pensare – non è distruggere quanto fin qui costruito. Il nostro Governo, infatti, “continuerà a promuovere un’Europa più forte, più solidale e più vicina ai suoi cittadini”. Ma non alle stesse condizioni. Passando al capitolo relativo alle politiche macroeconomiche, infatti, si legge che tra gli obiettivi l’Italia porterà avanti la costituzione di un Gruppo di lavoro europeo composto dai rappresentanti degli Stati membri per definire quella che Savona definisce una “politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”. Cambio di passo, dunque, per il quale il nostro Paese “giocherà un ruolo critico, ma anche propositivo e propulsivo riguardo all’approfondimento dell’Unione monetaria, al fine di rafforzare la crescita economica, promuovere la competitività del sistema produttivo europeo nell’economia globale, salvaguardare la stabilità dell’Euro”. Insomma, contrariamente a quanto detto da vari detrattori, non è sul tavolo l’uscita dalla moneta unica. Ma una ridiscussione profonda dei trattati e dell’architettura comunitaria, questo sì.
E a risentire di quest’atteggiamento sarà innanzitutto la Banca Centrale Europa, oggi guidata da Mario Draghi. Primo aspetto che Savona pare contestare è che la Bce fino ad oggi non ha garantito un adeguato bilanciamento tra condivisione e riduzione dei rischi. Insomma, la politica dei singoli Stati sarebbe stata “fatta fuori” dalle regole autonome di Francoforte, tese soprattutto a garantire i paletti imposti dall’Ue piuttosto che mirare alla crescita dei singoli Paese. Ed è per questo che, in merito alle politiche economiche europee, l’Italia “supporterà quelle orientate alla crescita e all’occupazione, concentrando le iniziative dove necessario”, anche se occorre “apportando miglioramenti all’architettura istituzionale europea”, cominciando proprio dal “ruolo” e dai “poteri della Bce”.
Insomma, quello che lamenta Savona – in linea con la discussione con la Commissione europea che ha preceduto l’approvazione della Manovra – è che l’architettura comunitaria conceda poco spazio agli investimenti. Ed è per questo che il Governo, garantisce il ministro, sarà aperto a discutere “l’istituzione di uno strumento europeo di stabilizzazione degli investimenti (EISF)”, iniziativa peraltro lanciata dalla stessa Commissione a luglio e poi caduta nel dimenticatoio.
Ma per fare questo urge un profondo cambiamento. Ed è per questo che innanzitutto l’Italia si opporrà all’affidamento al Fondo Salva-Stati di compiti di sorveglianza macroeconomica degli Stati membri che rappresenterebbero una duplicazione delle competenze già in capo alla Commissione europea. Ed è in questo contesto che il Governo intende lanciare un dibattito sui poteri e le prerogative della Banca Centrale Europea, “con particolare riguardo al ruolo di prestatore di ultima istanza e alla politica dei cambi”. Un cambio di passo notevole, dunque. Che richiede tempo e costanza. Ma a cui Savona pare non voler rinunciare.