L’avevano minacciato e alla fine sono passati dalle parole ai fatti. Sono una ventina i ricorsi presentati dagli ex deputati contro la delibera Sereni, dal nome della vicepresidente della Camera del Pd, con la quale dal 1° maggio di quest’anno è stato applicato un contributo di solidarietà triennale sui vitalizi di importo pari o superiore a 70mila euro lordi l’anno. Portando tutto sommato a risparmi risibili: circa 2,5 milioni l’anno, l’1,7% della spesa complessiva che la Camera è costretta a sostenere per pagare le pensioni degli ex eletti. Nella lista ce n’è davvero per tutti i gusti (compresi alcuni senatori che pur non essendo “toccati” dal provvedimento si sono associati). E soprattutto di tutti i colori politici. Perché si sa, quando di mezzo ci sono i soldi non c’è ideologia che tenga. È un “uno per tutti, tutti per uno”. Nessuno dei ricorrenti, molti dei quali assistiti dall’avvocato ed ex parlamentare del Pdl Maurizio Paniz, è infatti intenzionato a mollare un centesimo. Così hanno deciso di andare allo scontro frontale. Sui singoli casi deciderà il Consiglio di giurisdizione della Camera, l’organo giurisdizionale presieduto da Alberto Losacco (Pd) e composto da Antonio Marotta (Alternativa popolare) e Tancredi Turco (Alternativa Libera) che ha il compito di dirimere le controversie fra ex deputati e l’amministrazione di Montecitorio.
Da chi partiamo? Da quello che, a detta di tutti, è considerato l’ispiratore di questi ricorsi, cioè Giuseppe Gargani detto “Peppino”. All’82enne ex parlamentare campano di Dc, Ppi, Forza Italia e Pdl che, elenchi alla mano, percepisce un vitalizio pari a 6.039,96 euro netti al mese, l’applicazione del contributo di solidarietà proprio non è andata giù. Del resto, che la sua posizione sull’argomento fosse questa lo si era capito quando il 26 maggio, in una lettera al Dubbio, aveva bollato la legge Richetti (quella che promette di ricalcolare col contributivo tutti gli assegni di ex parlamentari e consiglieri regionali maturati col retributivo) come “anticostituzionale”, addirittura “un vulnus alla democrazia e alla indipendenza parlamentare”. Nientemeno.
Pagare moneta – Ma Gargani non è che il primo dell’elenco. Nel quale figura un altro volto noto sia della Prima sia della Seconda Repubblica come Giuseppe Calderisi, pure lui detto “Peppino”. Entrato alla Camera per la prima volta nel 1979 col Partito Radicale, Calderisi ne è uscito nel 2013, saltando appena un giro, l’undicesima legislatura (1992/94). I 32 anni a Palazzo gli hanno permesso di maturare – e incassare – un assegno da 5.459,46 euro netti al mese. Ad avercene. Ma niente, pure lui li vuole tutti, senza colpo ferire. Così come Antonio Bargone (Pci, Pds). Le 3 legislature sono valse all’avvocato brindisino, che in carriera ha ricoperto pure l’incarico di sottosegretario ai Lavori pubblici nel primo Governo Prodi e nel primo e secondo Governo D’Alema, un assegno da 3.931,21 euro netti al mese. Un piccolo taglio? Nemmeno a parlarne: così ha fatto ricorso. Sulla stessa lunghezza d’onda gli ex Dc Pietro Rende e Giuseppe Fornasari: tre legislature il primo e 4 il secondo che sono valse loro, rispettivamente, una pensione da 4.041,60 e 5.022,35 euro netti al mese. Che vogliono intascare tutta intera. Pensate che sia finita? Ci dispiace deludervi ma la risposta è no. Nella lista c’è infatti anche Teresio Delfino. Qualcuno se lo ricorderà visto che l’ex deputato centrista originario di Busca (Cuneo), è stato deputato per 6 legislature ma anche sottosegretario sia col Governo D’Alema I (Istruzione) sia con quello Berlusconi II (Agricoltura). Il suo assegno ammonta a 5.819,39 euro netti.
All’attacco – Quello di Giacinto Urso, colonna della Balena Bianca nel ventennio 1963-83, è invece di 5.472,11 euro netti mentre Carlo Felici, altro ex democristiano, sottosegretario all’Agricoltura del Governo Moro V, si deve “accontentare” di 4.499,09 euro netti. E guai a chi glieli tocca. Va meglio invece all’ex Dc e Forza Italia Angelo Sanza (dieci legislature e 5.882,70 euro netti); l’ex Pci-Pds Bruno Solaroli si ferma a 4.954,23 euro netti. Veniamo poi a Mario Gargano (Dc) e Maurizio Bertucci (FI-Udeur). Il primo, classe 1929, originario di Tagliacozzo (L’Aquila), è stato alla Camera fra il 1972 e l’83: tanto è bastato per portare a casa ogni mese 3.931,21 euro netti di vitalizio. La stessa identica cifra che percepisce Bertucci, a Montecitorio fra il ’94 e il 2006. Che dire poi di Mario Tassone (Dc, Udc) e Guido Alborghetti (Pci, Pds)? Per il primo, le 9 legislature a Montecitorio sono valse un vitalizio da 6.073,37 euro netti al mese; per Cursi invece 4 legislature e 4.852,36 euro netti. Anche Elena Montecchi ha una storia di sinistra (Pci, Pds, Ds), ma ciò non è bastato a frenarne la voglia di opporsi alla delibera Sereni, che va ad intaccare il suo assegno da 6.175,04 euro netti maturato tra il 1983 e il 2006. Più o meno lo stesso ragionamento fatto da Alfredo Zagatti (Pds), che per i suoi 9 anni alla Camera mette oggi in tasca 4.006,36 euro netti al mese. Chiudono la carrellata Fulvia Bandoli e Romana Bianchi Beretta. La prima, ex deputata di Sinistra Democratica, è stata a Montecitorio fra il ’94 e il 2008. Il suo assegno? 4.849,28 euro netti al mese. La Bianchi Beretta (Pci, Pds), classe ’44, 4 legislature alle spalle, incassa invece 5.010,50 euro netti. Beati loro.
Twitter: @GiorgioVelardi