L’avevano varato prima delle elezioni Europee con una grancassa mediatica e propagandistica che evidentemente ha sortito i suoi effetti. Non si spiega altrimenti il risultato del sondaggio realizzato dall’Istituto Piepoli sul decreto legge varato dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, sulle liste d’attesa.
Promosso dall’86% degli italiani. Peccato che il decreto sia un guscio vuoto, che non presenta coperture finanziarie apprezzabili, e che appena qualche settimana fa sia stato smontato dagli esperti e dagli stessi camici bianchi.
Nella forma attuale, il decreto liste d’attesa rischia di non sortire gli effetti sperati: è questo il timore emerso dalle audizioni delle parti sociali in commissione Affari sociali, sanità, lavoro del Senato, dove è iniziato l’iter di conversione in legge del provvedimento.
Medici e d esperti hanno smontato il decreto sulle liste d’attesa
Numerosi i nodi emersi dal dibattito. L’assenza di risorse aggiuntive, innanzitutto. “Il decreto legge è frutto di un prolungato braccio di ferro tra ministero della Salute e ministero dell’Economia e delle Finanze e tutte le misure previste sono senza maggiori oneri per la finanza pubblica”, sottolinea in una nota la Fondazione Gimbe, il cui presidente, Nino Cartabellotta, è stato audito in commissione.
Per esempio, gli 80 milioni per finanziare l’aliquota unica al 15% sulle prestazioni aggiuntive del personale sanitario “saranno recuperati dal fondo per i danneggiati da trasfusioni e vaccinazioni e da altri obiettivi nazionali”, ha precisato Cartabellotta, secondo cui, senza risorse il provvedimento rischia di non “risolvere i problemi strutturali del servizio sanitario che generano le liste di attesa”.
Non è questo, però, l’unico problema per Gimbe. Critici sono anche i tempi di attuazione. Il decreto “potrà essere pienamente operativo solo previa approvazione di almeno sette decreti attuativi con tempi di attuazione che rischiano di diventare biblici”, ha aggiunto Cartabellotta.
Rischia inoltre di produrre un “ulteriore sovraccarico dei professionisti sanitari che hanno carichi di lavoro già inaccettabili”. Su questo aspetto è dello stesso avviso il sindacato dei medici dirigenti Anaao Assomed.
No a sovraccaricare il personale sanitario
“Crediamo che allargare l’apertura degli ambulatori al week end senza avere del personale in grado di effettuare queste prestazioni non sia una norma che possa aiutare nel superamento delle liste d’attesa, ricordando che già oggi i dirigenti medici e sanitari lavorano in media più di 60 ore a settimana”, ha affermato il segretario nazionale, Pierino di Silverio.
Dubbi anche da parte degli ospedali. Sia la Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) sia Federsanità notano l’assenza nel provvedimento di misure che agiscano sull’appropriatezza delle visite ed esami prescritti.
“Lavorare esclusivamente sul potenziamento dell’offerta, senza parallelamente avviare iniziative finalizzate al perseguimento dell’appropriatezza prescrittiva, espone al rischio di una crescita della domanda non collegata ai reali bisogni sanitari a fronte di nessun miglioramento dello stato di salute dei cittadini”, ha sottolineato Fabrizio d’Alba, presidente nazionale di Federsanità e direttore generale dell’Aou Policlinico Umberto I di Roma.
Per intervenire su questo fronte, il presidente della Fiaso, Giovanni Migliore, ha proposto di rendere “obbligatorio nelle prescrizioni l’inserimento del codice di codifica del quesito diagnostico e, almeno per le prestazioni più critiche come radiografie, Tac e risonanze magnetiche, anche l’indicazione del livello di priorità”.
Peraltro lo stesso Schillaci lo ha riconosciuto. “Il decreto non affronta quello che rimane uno dei principali problemi: cioè l’inappropriatezza prescrittiva”, ha detto Schillaci.