Davanti alla politica che non muove un dito per dire ‘basta alla guerra’ e al rischio crescente che deflagri in un conflitto mondiale, a muoversi è un gruppo di intellettuali italiani che in queste ore stanno proponendo una raccolta firme per un referendum relativo alla guerra in Ucraina. Tre quesiti con il primo che mira a chiedere lo stop all’invio di ulteriori armi a Kiev, il secondo che si pone l’obiettivo di evitare che cresca la spesa militare, il terzo e ultimo che chiede di potenziare la spesa della Sanità pubblica. Insomma tutte richieste che vanno in senso diametralmente opposto a quanto fin qui fatto dal governo di Giorgia Meloni.
Un gruppo di intellettuali italiani sta proponendo una raccolta firme per un referendum per la pace in Ucraina
“Questa campagna referendaria è molto importante perché per la prima volta un popolo europeo può votare su questo conflitto tra Ucraina e Russia e, soprattutto, perché si può votare sulle politiche europee su questa vicenda”. A spiegare a La Notizia quale sia la posta in gioco, con la raccolta firme che partirà il 22 aprile in tutta Italia, è Ugo Mattei, professore universitario di Diritto e presidente della commissione DuPre (Dubbio e Precauzione). Secondo lui “coinvolgere delle popolazioni in guerra senza sentirle è un atteggiamento autoritario inaccettabile e quindi noi stiamo utilizzando gli strumenti che la nostra Costituzione ci ha messo a disposizione, grazie alla lungimiranza dei nostri padri costituenti, per dare la parola ai cittadini”.
Una chiamata a raccolta priva di colore politico come spiega lo stesso Mattei poco dopo: “Ci tengo a precisare che questo non è un referendum di parte e che il nostro intento è di far capire che non si può pensare di fare la pace esportando armi micidiali in teatri di guerra dove le vittime sono sempre i civili e i carnefici sono le classi dirigenti. Vogliamo semplicemente fermare questo massacro”.
Raggi: “Riportare le persone a confrontarsi nelle pubbliche piazze su temi reali è un fondamentale esercizio di democrazia e partecipazione”
Una campagna referendaria che si preannuncia lunga, difficile e turbolenta, ma che vede crescere di ora in ora il numero di sostenitori. Una delle ultime adesioni è quella dell’ex sindaca di Roma, Virginia Raggi, che su Facebook – e a titolo personale – ha annunciato la sua discesa in campo per cercare di dare maggior visibilità ai quesiti referendari: “Credo che in questo momento di crisi partitica, che ci restituisce dati drammatici sull’astensionismo elettorale, riportare le persone a confrontarsi nelle pubbliche piazze su temi reali, sia un fondamentale esercizio di democrazia e partecipazione di cui il nostro Paese ha davvero bisogno”.
Come spiegato dalla pentastellata i quesiti del referendum (due sulla guerra e uno sulla Sanità) “sono stati redatti e sostenuti da professori ordinari in materie giuridiche come Ugo Mattei, Alessandro Somma, Marina Calamo Specchia, Anna Maria Poggi, Sergio Foà, Luca Nivarra, Paolo Cappellini, Maurizio Borghi, dal magistrato emerito di Cassazione Giuseppina Leo, da Geminello Preterossi e Pasquale De Sena, entrambi membri della Commissione DuPre, dagli economisti Guido Viale e Vladimiro Giacchè, e ancora da Carlo Freccero, Vauro Senesi, Moni Ovadia, Franco Cardini, Marco Guzzi, dall’ex ambasciatore Alberto Bradanini e dai giornalisti Manlio Dinucci, Germana Leoni e Marinella Correggia” e sono già stati depositati in Cassazione.
Tre i quesiti: il primo chiede lo stop all’invio di ulteriori armi, il secondo che si pone l’obiettivo di evitare che cresca la spesa militare, il terzo chiede di potenziare la spesa della Sanità pubblica
Quel che è certo, come ha spiegato il professore Franco Cardini a La Notizia, è che “le campagne referendarie si lanciano quando si ritiene che sia un dovere civico farlo. Sappiamo benissimo che nella migliore delle ipotesi sono molto lunghe e quando approdano a un risultato, le condizioni storiche spesso sono già cambiate”. Ciò non toglie che lanciare questa iniziativa “almeno nelle intenzioni di chi la porta avanti e senza illudersi troppo sui risultati, è un modo per dire chiaramente che non si fa nessuna pace e nemmeno si avvia un processo di pace se non si fa un atto di coraggio”.
Secondo il professore Cardini “a un certo punto arriva il momento in cui si deve dire chiaramente che se le armi ci sono, allora si finisce per usarle”. Proprio per questo “noi vogliamo evitare che in questa guerra ci sia un vincitore e un vinto, con il primo che si sente in diritto di dettare legge sul futuro dei popoli e il secondo che viene umiliato” e per evitarlo l’unico modo “è trovando un accordo”. “Ci tengo a precisare che io sono contrario all’invio delle armi ma capisco che se si smette di inviare le armi all’Ucraina senza fare altro, allora si spiana la strada ai russi fino a Kiev. Per questo l’unica soluzione non può che essere quella di proporre un accordo tra le parti, con la Russia che deve fermare le ostilità e contestualmente noi dobbiamo smettere di inviare le armi all’Ucraina, così da permettere l’apertura di un tavolo per la pace”.
Come si legge nel comunicato stampa da parte dei proponenti, ingenti risorse pubbliche sono state “dirottate sulla produzione di armi letali invece di essere impiegate per riaffermare il diritto alla salute degli italiani, come prova l’ultimo Def, Documento di Economia e Finanza del Governo che prevede nel 2023 un aumento di 12 miliardi di euro per il budget della Difesa a fronte di una riduzione di 2 miliardi per le spese sanitarie pubbliche”.
Una scelta scellerata che dimostra, secondo i proponenti, che “la politica dimostra di ritenere prioritario l’acquisto di sistemi d’arma rispetto a garantire servizi pubblici indispensabili per la popolazione italiana”. Per questo il primo quesito “sulla salute bene comune, vuole limitare il conflitto di interesse fra privato e pubblico nella pianificazione sanitaria, facendo tesoro della lezione che la crisi Covid dovrebbe averci insegnato”. I restanti quesiti, invece, mirano ad “abrogare la normativa eccezionale voluta dal Governo Draghi e poi prorogata dal Governo Meloni” per l’invio e l’acquisto di armi per l’Ucraina.