di Gaetano Pedullà
Tra pochi giorni ricomincia la scuola. E migliaia di ragazzi scopriranno sin dall’asilo che l’Italia è un Paese illiberale. La formazione, la prima grande scommessa della vita e soprattutto l’unico strumento per vincere la sfida di società sempre più complesse, sarà obbligata. Poter scegliere il proprio futuro è un privilegio per pochi. Per tutti gli altri è lo Stato a decidere senza appello. È vero: in teoria c’è l’imbarazzo della scelta tra istituti pubblici (a volte di grande qualità e a volte no) e la scuola privata, in molti casi di ispirazione cattolica. Ma quale scuola frequentare alla fine lo decide il portafoglio. Chi può, andrà negli istituti privati più attrezzati ed esclusivi, con grandi opportunità di carriera. Così come potrà scegliere liberamente di frequentare gli ottimi licei pubblici, quando non sono cadenti e privi di insegnanti, di risorse, di laboratori didattici, di spazi per fare sport, di attenzioni nella crescita non solo culturale dello studente. Chi non può, invece, inizierà il nuovo anno in una scuola pubblica, anche se dovesse desiderare qualcosa di diverso. L’Italia, dove ognuno sembra poter fare quello che vuole, in realtà è dunque un Paese che impone le scelte più importanti ai suoi cittadini. Una camicia di forza insopportabile per nazioni più profondamente liberali – quasi tutte in Europa – dove i giovani possono scegliere la scuola che vogliono. Se è quella pubblica non pagheranno niente. Se è quella privata, avranno sgravi fiscali o altri incentivi per sostenere la loro scelta e la volontà delle famiglie. Si dirà adesso che con la scuola pubblica a pezzi e lo Stato senza un euro è fuori luogo chiedere contributi per garantire questa libertà. Ma in realtà non è così. La libertà è uno spirito che si inizia a sentire sin da bambini. Negarla sin dalla scuola è la culla di un Paese di sudditi.