Di Angelo Perfetti
Basta con le emergenze, l’emergenza deve essere l’eccezionalità. Parola di Delrio, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Dopo anni di drammi, di allarmi inascoltati, di tempo perso anche l’istituzione governativa – almeno a parole – si è svegliata. Eppure, rileggendo solo alcuni dei nomi che richiamano pagine nere della storia d’Italia, sembra impossibile che ancora oggi si parli di emergenza. Non c’è bisogno di andare indietro fino al Vajont nel 1963 o all’alluvione di Firenze del ‘66 per avere la sensazione di quanto sia stato sottovalutato il problema: Valtellina (1987), Sarno (1998), e poi l’alluvione nel Veneto nel 2010, quella di Genova nel 2011, quella in Maremma nel 2012, le morti in Sardegna. E poi le tragedie nelle grandi città italiane, capitale compresa, dove la morte ha colpito nei sottopassi allagati; l’ultimo atto dell’emergenza è stato a Milano, devastata da due giorni di piogge. Colpa nella maggior parte dei casi non tanto dell’inclemenza del tempo, quanto delle assurde condizioni in cui abbiamo messo i nostri territori, costruendo dove non era possibile oppure realizzando le strutture senza il minimo rispetto delle regole di sicurezza.
Gli abusi
La cementificazione ha eroso parti intere del territorio; l’abusivismo e la compiacenza della politica, con lo zampino del malaffare, hanno completato il quadro. Case, aziende, interi quartieri sono costruiti in zone a elevato rischio idrogeologico e sismico, rubando terreno ai corsi d’acqua, strappando terra alle montagne e alle colline. Ogni cinque mesi, secondo i dati forniti dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) viene cementificata una superficie pari al comune di Napoli.
Il “Rapporto sullo stato del paesaggio alimentare italiano”, realizzato dal Corpo forestale dello Stato ed Eurispes e presentato lo scorso febbraio, stima che negli ultimi 12 anni la situazione è peggiorata per il rischio sismico e per il numero di aree soggette a rischio idrogeologico.
L’impegno
Ora il governo ci dice che è necessario “un salto di qualità nelle opere di prevenzione”, come ha sottolineato Delrio a palazzo Chigi presentando la struttura di missione della presidenza del consiglio dei ministri contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche “Italia sicura”. “Quando parliamo di dissesto idrogeologico non parliamo soltanto di costruire opere ma anche di qualità del territorio, un bene prezioso, parliamo di ingegneria intelligente e di amore verso il nostro territorio”, ha sottolineato il sottosegretario Delrio.
Soldi in cassa
Oggi l’obiettivo è spendere quei circa 4 miliardi di fondi ancora non utilizzati per prevenire le puntuali emergenze, ultima l’esondazione del Seveso a Milano, che si verificano sul territorio italiano, causando danni sempre più ingenti e vittime. Prese in consegna le firme raccolte da “dissestoitalia”, appello per la messa in sicurezza del Paese promosso da Ance, Legambiente, Consiglio Nazionale dei Geologi e Consiglio Nazionale degli Architetti. La struttura ha già davanti regione per regione, l’elenco delle opere da portare a termine, 3395 in elenco dal 2009 ad oggi, e il budget: 2480 milioni di fondi non spesi, dal 98 ad oggi, e 1600 milioni per le infrastrutture idriche del sud. Un tesoretto al quale il governo conta di poter aggiungere un miliardo l’anno dai fondi Ue.
I numeri
Con un’esponenziale crescita del rischio: dai 100 eventi meteo con danni ingenti l’anno registrati fino al 2006 al picco di 351 del 2013 e a 110 nei soli primi 20 giorni del 2014. Da ottobre 2013 all’inizio di aprile 2014 sono stati richiesti dalle Regioni 20 Stati di emergenza con fabbisogni totali per 3,7 miliardi di euro. Ora il cambio d’ordine sarà “investire in sicurezza” in un paese dove l’81,9% dei Comuni ha aree in dissesto idrogeologico ultimi dati Ance si sono perse settecentomila unità nella cantieristica causa crisi, con i 4 miliardi da investire sul territorio “si creano posti di lavoro”.
CROLLO NEL SALOTTO DI NAPOLI. MORTO IL RAGAZZO TRAVOLTO
Di Fabrizio Gentile
Un gesto istintivo di protezione verso gli amici con cui stava facendo una passeggiata in via Toledo in un sabato pomeriggio. Il quattordicenne Salvatore Giordano, di Marano, ha pagato con la vita, dopo tre giorni e mezzo di agonia, l’essersi accorto del crollo di calcinacci dalla sommità della Galleria Umberto I di Napoli e l’aver allontanato gli amici senza riuscire a salvare se stesso. Una morte incredibile, forse peggiore nella sua assurdità di quella di Ciro Esposito, il tifoso del Napoli morto al Gemelli di Roma dopo essere stato colpito da proiettili prima della finale di Coppa Italia.
Calcinacci killer
La caduta di calcinacci e grosse pietre non rientra tra quelle che si definiscono fatalità. Numerose, nei mesi e negli anni scorsi, le segnalazioni fatte da condomini e negozianti dell’area che insiste su via Toledo.
Le indagini
Il procuratore Giovanni Colangelo è stato chiaro: ‘’Di certo, quanto è accaduto non può essere definita una fatalità’’. Già aperto un fascicolo per accertare cause e soprattutto responsabilità. Circostanze difficili da appurare perché piani e appartamenti della Galleria (costruita tra il 1881 e il 1890) sono distribuiti tra privati, Comune di Napoli e altri soggetti. Il giovanissimo Salvatore non si è mai ripreso dalla caduta delle grosse pietre avvenuta sabato scorso. Ricoverato al Loreto Mare, è stato in coma per lo schiacciamento del torace e un grave trauma cranico subito. Ieri mattina la notizia della morte cerebrale, poi la fine. La Procura ha affidato ai carabinieri il compito di acquisire atti sulla proprietà e la manutenzione del sito e anche di recuperare le immagini in possesso di testate giornalistiche e di emittenti tv della Galleria così da poter ricostruire l’accaduto. Il legale della famiglia, Angelo Pisani, sottolinea ‘’l’esempio di compostezza dato dalla famiglia’’ e spiega che sarà la magistratura a decidere se effettuare l’autopsia.
Un città martoriata
Non si è ancora spenta l’eco della morte di Ciro Esposito, il tifoso napoletano colpito a morte a Roma nel giorno della finale di Coppa Italia che già il sindaco è costretto a indossare un’altra volta il tricolore per un funerale. E i drammi personali si aggiungono alla lotta alla Camorra, ai disastri della terra dei Fuochi. Ultimi riverberi di un territorio difficile, che dai tempi dell’epidemia di colera non è mai uscito dall’emergenza. Ma la tragedia di via Toledo ha una matrice più ampia della Campania; nasce dall’incuria con la quale vengono tenuti in tutta la nazione monumenti, palazzi storici e siti archeologici.
Un’Italia che vede letteralmente sgretolarsi sotto i propri occhi secoli di storia e un possibile volano economico. A volte la notizia è che qualche sasso cade per terra, ed è una tragedia per la Cultura. Capita però che qualche sasso cada su un ragazzo. E la tragedia non è più tollerabile. E non a caso nella pagina Facebook dedicata a Salvatore Giordano, sotto la sua foto, con il cappellino, tra i tanti commenti
di amici e non che hanno voluto lasciare un ricordo, ne spicca uno in particolare: “Sei volato in cielo cosi’ giovane per colpa della strafottenza umana”.
Lutto cittadino
Il sindaco di Napoli ha proclamato per il giorno delle esequie del piccolo Salvatore, il lutto cittadino, interpretando in tal modo i sentimenti di tutta la città, così profondamente scossa da questa immane e inaccettabile tragedia. De Magistris ha disposto, da subito, di abbassare a mezz’asta, in segno di lutto, le bandiere di palazzo San Giacomo e di via Verdi’.