Un minore su 2 è vittima di violenze via internet, ovvero cyberbullismo. E il dato risulta in netta crescita tra le fasce più giovanili. I casi di minori vittime sono stati 358 nel 2017, saliti quindi a 388 lo scorso anno e adesso, per questi primi 8 mesi del 2019, si è già a quota 269. E sale il numero di minori denunciati: 53 nel 2017, 60 lo scorso anno e già 80 in questi 8 mesi del 2019. Si va dallo stalking alla diffamazione online, alle ingiurie, minacce e molestie al furto di identità su social network. Ed anche diffusione di materiale pedopornografico online e al sextortion.
Nel giorno dell’inaugurazione nazionale dell’anno scolastico 2019-2020 ripartirà anche “Una vita da social”, la campagna educativa itinerante sui temi del social network e del cyberbullismo promossa dalla Polizia di Stato. La campagna è ripartita dall’Istituto comprensivo “Mariele Ventre” di L’Aquila in concomitanza della cerimonia tenutasi alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del capo della Polizia Franco Gabrielli.
La campagna rientra nell’ambito delle iniziative della polizia Postale per la sensibilizzazione e la prevenzione dei rischi e pericoli della Rete web per i minori, ed è svolta in collaborazione con il Miur. Da L’Aquila a Palermo, 62 tappe, attraversando lo stivale con un truck allestito con un’aula didattica multimediale, gli operatori della Polizia Postale incontreranno studenti, genitori e insegnanti sui temi della sicurezza online con un linguaggio semplice ma esplicito adatto a tutte le fasce di età. La campagna, alla sua settima edizione, ha già riguardato 17mila istituti scolastici e 300 città sul territorio nazionale.
“Capire i ragazzi – spiega la Polizia – oggi non è sempre per gli adulti compito agevole, soprattutto quando si tratta di comprenderne i bisogni, i modelli di riferimento, gli schemi cognitivi inerenti i diversi gruppi di riferimento che compongono il variegato universo giovanile. Giovani che sempre più spesso restano ‘contagiati’ da modelli sociali trasgressivi completamente sconosciuti ai genitori”.
Sempre più sono i giovanissimi a rischio solitudine che per ore su Internet incontrano altri internauti altrettanto solitari che, a volte, sono già stati contagiati dai “pericoli del web”. Il fascino della rete e la sottile suggestione del messaggio virtuale, l’idea di sentirsi “anonimi”, nonché il senso di deresponsabilizzazione rispetto ai comportamenti tenuti online, stanno dilagando, “così da determinare serie preoccupazioni in coloro che ancora credono in valori fino a ieri condivisi. Per fare della Rete un luogo più sicuro occorre continuare a diffondere una cultura della sicurezza online in modo da offrire alle nuove generazioni occasioni di riflessione ed educazione per un uso consapevole degli strumenti digitali. I social network infatti sono ormai uno strumento di comunicazione del tutto integrato nella quotidianità dei teenager”.
Da una ricerca di Skuola.net per “Una Vita da Social” è emerso che: un ragazzo su tre, sul proprio social di riferimento, possiede un account falso; il 28 per cento quelli che dichiarano di averne uno oltre a quello “ufficiale”, mentre il 5 per cento è presente ma solo con un fake. Perché questa identità anonima? Principalmente per conoscere gente nuova senza esporsi troppo online (26 per cento), oppure per controllare i propri amici senza che loro lo sappiano (21 per cento) nonché per controllare tutti quelli da cui sono stati bloccati (20 per cento). Non manca chi ricorre ai fake per controllare il proprio partner (10 per cento) o chi cerca di sfuggire dal controllo dei propri genitori (il quattro per cento).
Non manca tuttavia uno zoccolo duro, neanche così piccolo, che vive per i like. Per uno su tre, infatti, un contenuto che genera poche interazioni ha un effetto negativo sull’umore. Mentre il 40 per cento, più o meno sporadicamente, è disposto a cancellare un contenuto dalle scarse performance. Su una cosa, invece, i giovani sono in assoluto accordo: il controllo di chi commenta, condivide o clicca mi piace sui propri contenuti. Solo uno su sei dichiara di non farlo mai. Questo perché attraverso la guerra dei like si costruiscono amicizie e rapporti personali: solo il 56 per cento è disposto a dare un giudizio positivo ad un contenuto postato da una persona che in genere non ricambia (il cosiddetto like4like). Mentre sono ancora meno (48 per cento) quelli che non ricorrono mai al like tattico, ovvero ad una approvazione di un contenuto altrui col solo scopo di farsi notare.