La crisi climatica morde ma il governo non trova il coraggio per la riforma dei sussidi ambientalmente dannosi che è ferma al palo. È un atto d’accusa forte e chiaro quello del gruppo scientifico “Energia per l’Italia”, coordinato dal professore Vincenzo Balzani e che riunisce scienziati, docenti e ricercatori.
La crisi climatica morde ma il governo non trova il coraggio per la riforma dei sussidi ambientalmente dannosi
Proprio nel momento in cui Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte, Friuli Venezia-Giulia e Veneto chiedono al Governo il via libera allo stato di emergenza a causa della siccità e quando quasi un terzo del ghiacciaio della Marmolada si stacca e scivola a valle a causa delle elevate temperature accompagnate da un alto grado di scopertura del ghiaccio, e causa 11 morti, il gruppo scientifico sottolinea come il Presidente del Consiglio non ritenga una priorità il taglio progressivo dei 35,49 miliardi di euro di Sussidi Ambientalmente Dannosi destinati ogni anno alle fonti fossili e la loro destinazione a misure ambientalmente favorevoli e a difesa del Welfare.
In occasione della pubblicazione del quarto catalogo dei Sussidi Ambientalmente Dannosi il Ministero della transizione ecologica aveva ricordato che “… il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite) ha già deciso che il Mite presenterà un piano di uscita dai sussidi ambientalmente dannosi, in linea con il pacchetto europeo Fit for 55, entro la metà del 2022”.
Invece il 6 luglio scorso il Mite si è limitato a proporre l’eliminazione di soli due Sad (Sussidi Ambientalmente Dannosi) relativi alla gestione dei rifiuti mentre del Piano non si ha ancora alcuna notizia. Il comitato Energia per l’Italia ricorda che secondo uno studio Ocse del 2017 cofinanziato dal Governo italiano, sono innumerevoli le ragioni che dovrebbero indurre Draghi e Cingolani a non tergiversare e, come si legge nel documento Global Fossil Fuel Subsidies Remain Large: An Update Based on Country-Level Estimates, 2019 International Monetary Fund: i sussidi possono essere utili strumenti economici, ma molti sono stati identificati come economicamente inefficienti e distorsivi del mercato; le sovvenzioni possono anche provocare danni ambientali, sia direttamente incentivando un’attività che danneggia direttamente l’ambiente, sia indirettamente riducendo il costo di un’attività che utilizza input che impongono un pesante onere per l’ambiente; alcuni dei danni ambientali sono limitati al paese che fornisce il sussidio, ma alcuni hanno effetti transfrontalieri; i sussidi impongono ai bilanci pubblici e ai contribuenti un onere discutibile quando sono dannosi per l’ambiente, socialmente iniqui o inefficienti; l’onere fiscale delle sovvenzioni comporta che meno risorse possono essere potenzialmente destinate ad altri finanziamenti pubblici, siano essi per la ricerca sull’energia pulita, l’innovazione o la sicurezza sociale. Secondo il gruppo scientifico lo stesso Mite, utilizzando il modello Ermes, stima che impiegando i fondi dei Sad in parti uguali per incrementare gli attuali risparmi di bilancio, sovvenzionare le fonti rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica del settore industriale, Pil ed occupazione crescerebbero rispettivamente dello 0,82% e del 2,3% mentre le emissioni diminuirebbero del 2,68%.
Le conclusioni a cui giunge il Mite – ricorda Energia per l’Italia – sono confortate da ciò che anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia sostiene da tempo immemore: le energie pulite hanno costi più bassi rispetto a quelle fossili; l’efficientamento energetico riduce gli sprechi e libera risorse sia per le imprese sia per le famiglie; il costo delle nuove tecnologie “green” è ampiamente compensato dai risparmi conseguibili grazie al minor costo dell’energia ed ai minori sprechi. Quindi, chiede Energia per l’Italia, “perché non liberare progressivamente queste risorse e destinarle ad impieghi più efficienti e sostenibili?
Il Governo – scrivono – invece si attarda sulla conversione dei Sad e risponde alla crisi energetica e climatica con provvedimenti connotati, come scrive Confindustria in una sua nota sul Decreto Aiuti “da una logica d’intervento prevalentemente congiunturale e, dunque, dall’assenza di misure di portata strutturale, che possano sostenere le imprese in una prospettiva di medio periodo”. Quali misure sono più strutturali se non quelle che contribuiscono a modificare radicalmente il mix energetico composto per più dell’80% da fonti fossili e a ridurre selettivamente i consumi energetici?”.
Le agevolazioni alle imprese “energivore”, ad esempio, rafforzate dal Governo per consentire al sistema industriale di far fronte agli extra-costi dovuti agli aumenti dei prezzi di energia elettrica e gas verificatisi a partire dall’ultimo trimestre 2021, “sono concesse in assenza di alcuna correlazione con un uso efficiente dell’energia. L’attuale meccanismo di agevolazione disincentiva gli investimenti in efficienza energetica e autoconsumo” (fonte: Audizione E. ON Italia S.p.A. presso la Commissione X Attività produttive della Camera, del 9 aprile 2019), iscrivendosi così di diritto nella categoria dei Sad.
Al contempo, per effetto del DL Sostegni-ter, convertito dalla legge 25/2022, non sono stati minimamente scalfiti gli extra profitti ottenuti dai produttori di energia elettrica ottenuta da fonti fossili né dalle grandi compagnie Oil & Gas che hanno beneficiato del caro energia (Eni su tutte). In estrema sintesi, per Energia per l’Italia per far fronte al caro energia il Governo utilizza fondi pubblici e concede agevolazioni che disincentivano ciò di cui avremmo maggiormente bisogno (investimenti in efficienza energetica e autoconsumo) avvantaggiando quindi i produttori di energia da fonte fossile e le compagnie che estraggono gas e petrolio i cui superprofitti, ottenuti grazie al caro energia, non vengono neppure tassati.
Ne consegue che il danaro pubblico, una volta uscito dalle casse dell’Erario, per effetto delle politiche governative si trasforma in superprofitti “fossili” lasciando in eredità alle collettività un aggravio del deficit di bilancio. Per questo, secondo il gruppo di docenti e ricercatori, si può classificare il Governo Draghi come G. A. D. (Governo Ambientalmente Dannoso).