La Sveglia

Un giorno di memoria e un anno di rimozione

Un giorno di memoria e un anno di rimozione: sulle vittime di mafia ieri c’era la memoria. Oggi c’è la convenienza.

Un giorno di memoria e un anno di rimozione

Ieri era la Giornata della Memoria e dell’Impegno per le vittime innocenti di mafia. Il giorno delle istituzioni in prima fila, delle dichiarazioni solenni, delle celebrazioni perfette. Il giorno in cui tutti si inchinano davanti ai nomi delle persone uccise, si commuovono e giurano che non accadrà mai più.

Ma la memoria, se fosse davvero viva, sarebbe scomoda. Perché obbligherebbe a riconoscere che la mafia non è sconfitta, che le zone grigie esistono ancora e che dietro certe scelte politiche, certe riforme, certi tagli ai poteri investigativi, ci sono interessi precisi. Fare memoria significherebbe fare nomi, denunciare responsabilità, smontare il racconto rassicurante di un Paese che si dice cambiato mentre continua a convivere con lo stesso sistema.

Oggi, invece, è il giorno dopo. Il giorno in cui la mafia torna a essere un problema tecnico, un argomento per convegni, un fastidio da confinare in qualche operazione di facciata. La memoria, in Italia, dura lo spazio di una cerimonia: il tempo di una dichiarazione, il tempo di un fiore, il tempo di una telecamera accesa. Poi il silenzio.

Eppure, ricordare dovrebbe significare guardare il presente. Dovrebbe voler dire interrogarsi sul perché le mafie non sono sconfitte, su come riescono a infiltrarsi nelle imprese, nella politica, nell’economia. Dovrebbe significare chiedersi perché chi indaga trova sempre più ostacoli, perché le leggi diventano più morbide, perché certi intrecci non vengono mai spezzati.

Ieri hanno parlato tutti. Hanno detto che la mafia è un nemico della democrazia. Oggi, nei palazzi, negli affari e nei consigli di amministrazione, ci si accorda con quel nemico, lo si tollera, lo si usa. Ieri c’era la memoria. Oggi c’è la convenienza.