Non sarà una passeggiata quella che attende oggi Luigi Di Maio. Il leder politico M5S, a torto o a ragione, salirà nel corso del vertice con i parlamentari pentastellati sul banco degli imputati. E se in tanti sono pronti a difenderlo, in nome di quella collegialità per cui “si perde o si vince assieme”, in molti sono pronti a processarlo per quella sconfitta che ha dimezzato i consensi dal 32,7 al 17%.
Il vicepremier e ministro di due dicasteri – Lavoro e Sviluppo economico – ha detto di aver sentito le diverse anime del M5S e che nessuno ha chiesto le sue dimissioni. Ma è certo che oggi ci sarà, eccome, chi un suo passo indietro lo chiederà. Le dichiarazioni al vetriolo di alcuni parlamentari grillini lo lasciano intendere con chiarezza. Ad aprire il fuoco di fila era stato lunedì sera Angelo Tofalo. Il sottosegretario alla Difesa ha dichiarato che “tutti sono utili ma nessuno è indispensabile”. “La responsabilità del disastro alle elezioni è tutta di Luigi”, ha sparato il presidente della commissione Cultura della Camera, Luigi Gallo, vicino a Roberto Fico. “Luigi non avrebbe dovuto ricoprire tutti quei ruoli, perché non ne ha fatto bene nessuno”, dice a muso duro la senatrice Elena Fattori. “Voglio bene a Luigi ma c’è una responsabilità politica di questo brutto risultato che non spunta dal nulla, ma ha radici lontane: penso all’esperienza di Roma”, rincara la presidente della commissione Finanze della Camera, Carla Ruocco.
Ma a battere, ieri, il primo colpo è stato Primo Di Nicola. “Mi sono dimesso da vice presidente del gruppo parlamentare del M5S al Senato”, ha annunciato su Facebook. Una decisione che Gianluigi Paragone legge come “un segnale di discontinuità” anche se non lo considera sufficiente: “La generosità di Luigi di avere tre o quattro incarichi deve essere rivista”. In realtà quello di Di Nicola non è un atto di protesta contro di Di Maio, ma un richiamo a condividere le responsabilità perché “si vince e si perde assieme”: “Mettere a disposizione del Movimento gli incarichi è l’unico modo che conosco per favorire una discussione autenticamente democratica su quello che siamo e dove vogliamo andare”, spiega il senatore grillino. “Un gesto inappuntabile – lo definisce un esponente pentastellato -. A differenza di quanti, in queste ore, stanno sparando contro Di Maio comodamente seduti sulle poltrone che occupano e che non intendono mollare”.
Accanto agli atti di accusa non mancano gli attestati di stima nei confronti del vicepremier. Da Francesco D’Uva, capogruppo M5s alla Camera (“Ci tengo a ringraziare Luigi: un amico, un infaticabile lavoratore”) a Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari regionali (“Era stato di Maio a portare il M5S al 32%”). I parlamentari delusi da Di Maio mettono in discussione altri esponenti di governo grillini. Da qui la richiesta di un rimpasto di Governo. Ma la posta in gioco è troppo alta: la Lega potrebbe finire con l’aumentare le poltrone dopo la vittoria. La verità è che al momento non c’è una vera alternativa a Di Maio.
Alessandro Di Battista ha chiarito che non è disposto a fare “come Renzi con Zingaretti o D’Alema con Renzi”. La sua leadership o quella di Fico significherebbero peraltro ore contate nei rapporti con la Lega e per la durata del governo. Prende corpo allora l’ipotesi di un direttorio che potrebbe contare fino a dodici persone. Nel gruppo si potrebbero recuperare lo stesso Di Battista ed esponenti della minoranza. Di Maio sarebbe uno dei membri: per lui la solitudine dei numeri primi è finita in quella terribile notte del 26 maggio.