Questa volta il deposito per le scorie nucleari va fatto sul serio e anche in fretta. Nessuno lo vuole a due passi da casa e decidere dove costruirlo fa crollare i consensi di qualsiasi amministratore in un determinato territorio. Un particolare che sinora ha portato a rinviare il problema. Come ha specificato ieri davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti il pentastellato Davide Crippa, sottosegretario al Ministero dello sviluppo economico, è giunto però il momento di prendere una decisione. La Francia chiede certezze al Governo. E se non arriveranno rassicurazioni l’Italia rischia di vedersi spedire del materiale radioattivo trattato oltralpe senza sapere dove metterlo e soprattutto di vedersi chiudere le porte a ulteriori carichi da inviare a Parigi per essere, come si dice in gergo, riprocessati.
L’ULTIMATUM. Il combustibile esaurito prodotto durante le attività delle centrali nucleari italiane, spente con il referendum, è stato quasi completamente inviato all’estero e ne resta da trasferire in Francia soltanto meno dell’1%. Tutti elementi attualmente custoditi nel deposito di Avogadro di Saluggia. I francesi vogliono però appunto ora delle certezze sulla costruzione del deposito nazionale delle scorie. “è emerso – ha dichiarato Crippa nel corso dell’audizione – che l’esecuzione degli ultimi trasporti è subordinata, da parte francese, a precise garanzie da parte del governo italiano di ripresa in carico dei rifiuti”. Alla costruzione dunque di una struttura fondamentale per far rientrare in Italia i rifiuti oggetto di riprocessamento.
Il sottosegretario ha così sostenuto che l’esecutivo sta accelerando il processo di “localizzazione del deposito”. Il ritardo è notevole. In base all’accordo intergovernativo di Lucca per il trattamento di 235 tonnellate di combustibile nucleare utilizzato presso gli impianti nucleari italiani, era infatti prevista la consegna del combustibile già tra il 1 gennaio 2007 e il 31 dicembre 2015 e la realizzazione del deposito entro il 2025. Senza contare che l’Italia avrebbe dovuto trasmettere alla Commissione europea il Programma nazionale sul combustibile esaurito e i rifiuti radioattivi entro il 2015, cosa che non ha fatto, portando Bruxelles ad avviare nel 2016 una procedura di infrazione e a coinvolgere lo scorso anno la Corte di Giustizia.
L’IMPEGNO. Il sottosegretario ha assicurato che il Mise prevede di concludere l’iter necessario alla pubblicazione della Carta dei siti idonei per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi entro la fine di quest’anno o al massimo i primi mesi del 2020. L’esponente pentastellato ha inoltre aggiunto che a gennaio è stato deciso di modificare lo schema di Programma Nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, non ancora approvato, per garantire che lo smaltimento possa avvenire anche in impianti situati all’estero, nell’Ue e fuori. E ora l’esecutivo sta cercando di capire se sia più conveniente trasferire i rifiuti “ad alta attività” nel deposito nazionale o gestirli attraverso contratti internazionali. Procede intanto, seppure a rilento, lo smantellamento degli impianti nucleari italiani. Secondo Crippa sarà completato nel 2036, con una spesa stimata in 7,2 miliardi di euro, anche se l’obiettivo del green field, quello dunque di cancellare ogni traccia delle vecchie centrali, sarà raggiunto soltanto tra il 2029 e 2042. Attività monitorate dallo stesso Mise per tenere anche sotto controllo le spese.