Il ridimensionamento della tassa sugli extraprofitti delle banche rappresenta un ostacolo più arduo del previsto per il governo Meloni. Alla fine dalla misura potrebbero arrivare anche meno di due miliardi, mentre per la prossima manovra di soldi ne servirebbero ben di più.
Già oggi, con oltre un mese di anticipo rispetto alla Nadef, l’esecutivo deve far fronte a un buco superiore ai 20 miliardi. E parliamo di risorse necessarie solamente per le priorità estreme, senza nulla di aggiuntivo da inserire nella legge di Bilancio.
Secondo la Repubblica per ora ci sono circa 7 miliardi a disposizione, a fronte di impegni per un totale di 28 miliardi. Soldi fondamentali solamente per confermare misure già esistenti e poco altro.
La manovra di Giorgia Meloni
Lo scorso anno gran parte delle risorse della manovra il governo Meloni l’ha dovuta destinare alle bollette e agli interventi contro il caro energia. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sperava – anche grazie a una crescita più alta del previsto – di poter fare una legge di Bilancio più politica e meno di necessità quest’anno, rimandando tanto promesse proprio all’autunno del 2023. Ma sarà difficile.
I pochi soldi a disposizione per la legge di Bilancio
Per ora le casse piangono. Il governo ha a disposizione 4,5 miliardi di euro messi da parte con il Def, a cui aggiungere (sempre che ci si riesca) 1,5 miliardi dalla spending review. A questi vanno sommati i circa due miliardi (se non meno) attesi dalla tassa sugli extraprofitti delle banche.
Le spese irrinunciabili per la manovra Meloni
Pochi soldi a fronte di diverse spese a cui il governo non può rinunciare. Innanzitutto quelle indifferibili (che comprendono tante voci come le missioni internazionali, per esempio) che si attestano tra i 5 e i 6 miliardi.
Inevitabile la conferma del taglio del cuneo fiscale, per non compromettere le busta paga di milioni di lavoratori: serviranno, per rifinanziare lo sgravio contributivo nel 2024, circa 10 miliardi di euro. Un altro miliardo servirà per confermare la detassazione sui fringe benefit.
Poi c’è il capitolo pensioni: senza calcolare – anche è presto per capire le cifre – la rivalutazione per l’adeguamento all’inflazione, ci sarà di sicuro almeno un miliardo da investire per un nuovo scivolo, anche se fosse solamente la proroga della Quota 103.
Poi c’è il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha chiesto quattro miliardi per la sanità; probabilmente ne riceverà meno di tre. Più o meno la stessa cifra destinata anche agli statali per un mini-rinnovo, tutt’altro che completo, dei contratti.
Poi c’è il taglio delle aliquote Irpef, che dovrebbero passare da quattro a tre: serviranno almeno quattro miliardi. Anche se il governo confida di recuperarli dalla revisione di detrazioni e deduzioni fiscali. Ma già così siamo vicini ai 30 miliardi di euro.
Dove prendere le risorse?
Difficile capire dove prendere tutte queste risorse, soprattutto considerando il Pil in frenata, l’inflazione più bassa e anche un turismo che sta trainando meno del previsto. Le soluzioni rimaste sono poche: o alzare il deficit sopra il 4%, difficilmente accettato dall’Ue con il ritorno al Patto di stabilità, o una manovra correttiva in un secondo momento.