Da quando c’è la guerra in Ucraina e a Gaza, si vede la parzialità dei giornali. Sono tutti di parte, e tutti della stessa parte. Se muore un russo o un palestinese è “morto”, se muore un ucraino o un israeliano è “ucciso”.
Elio Mascitti
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Gentile lettore, quella regola, per israeliani a palestinesi, purtroppo esiste da sempre. Anni fa la ricerca di un’università americana sul “linguaggio prevenuto” (biased language) negli articoli su Israele, dimostrò che il 98% della stampa anglosassone usava tali scelte lessicali. Idem la stampa europea. Per cui non c’è mai stato un palestinese “assassinato”: lui muore e basta. L’israeliano invece nasce immortale e se muore è solo perché è “ucciso”. Oggi la prassi è estesa a russi e ucraini. Vede, il giornalista ha senso di esistere se riporta la realtà, non se fa propaganda. “I fatti separati dalle opinioni” era la regola lanciata nel ’67 da Panorama, ma mai regola fu più disattesa. E il giornalista medio non si vergogna di disattendere, anzi. Il referendum nel Donbass? È sempre e solo “una farsa”, quando, per salvare un po’ la faccia, si potrebbe scrivere “da molti considerato una farsa”. Navalny? “Ucciso da Putin” e non fa niente che perfino l’intelligence ucraina confermi la morte per attacco cardiaco. Citavo l’altro giorno l’articolo di Repubblica sulle proteste di Mosca perché i generali tedeschi discutevano su come bombardare la Crimea. Ebbene l’articolo si apriva così: “Mosca entra a gamba tesa nella questione…”. Se invece di protestare il Cremlino avesse mandato un mazzo di rose, l’incipit dell’articolo sarebbe stato: “È un bouquet pieno di spine…”.
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