Con una mano dà e con tutte e due subito leva. La Banca centrale europea, autorità indipendente dalla politica e da qualunque tipo di controllo democratico, ne ha sfornata un’altra delle sue. Perfettamente a conoscenza della situazione patrimoniale del Monte dei Paschi di Siena, l’istituto di Francoforte presieduto ancora per pochi mesi da Mario Draghi ha deciso che i crediti poco esigibili – tecnicamente Npl (non performing loans) – di Rocca Salimbeni devono essere azzerati in quattro e quattr’otto.
Un’ordine di svendita, insomma, che non solo toglie ogni possibilità di far rientrare nei parametri le posizioni momentaneamente illiquide di molti clienti della banca, ma obbligherà l’istituto senese a mettere sul mercato crediti e immobili dati a garanzia per quattro soldi. Un giochetto che indebolirà ancora di più Mps, e soprattutto crea un precedente per tutto il nostro sistema creditizio. Naturale che già ieri tutte le banche abbiano sofferto a Piazza Affari, prefigurando una nuova pericolosissima tegola.
Solo i gruppi nazionali hanno in pancia circa 85 miliardi di questi crediti non performing, e questa accelerazione potrebbe costringere il settore a una ventina di miliardi di nuovi accantonamenti nei prossimi sette anni, con identica decurtazione del patrimonio su cui si basano i crediti nuovi e le attività commerciali di ogni istituto. Siamo di fronte, insomma, a una nuova manovra restrittiva, il cui effetto finale sarà quello di restringere il credito a famiglie e imprese e penalizzare ancora più di quanto non sia adesso l’intera economia del Paese.
La stretta della Bce è quanto di più infido e doveroso di almeno qualche straccio di reazione della politica, nella misura in cui il Monte dei Paschi è di fatto una banca oggi di proprietà dello Stato italiano, mentre con questo ordine impartito a Siena si prepara evidentemente il terreno per richieste simili alla più traballante Carige di Genova e a cascata alle altre maggiori banche del Paese. Istituti sui quali pende anche il prossimo giudizio degli stress test, cioè la simulazione di quanto potrebbero resistere ai più catastrofici scenari di crisi economica.
Un esame che inquieta Ubi e Banco Bpm, che hanno superato gli scorsi test estivi ma classificandosi tra le ultime cinque come patrimonio Cet1 (il principale indice di solvibilità) dopo tre anni di scenari avversi su un campione di 48 istituti scrutinati dall’Eba di Londra. Siamo in un contesto, perciò, che il tracollo finanziario in Europa a furia di chiamarlo lo sta concretamente realizzando. E la cosa incredibile è che tutto questo avviene nel silenzio impotente di una irrilevantissima Abi – l’associazione delle banche italiane – e dell’autorità di vigilanza italiana, quella Bankitalia che invece di fare scudo se può fa a gara con la Bce su chi bastona di più.