Più che una critica quella di Nino Di Matteo nei confronti del guardasigilli assomiglia a una pugnalata alle spalle. Tanto più se le accuse dell’ex pm antimafia di Palermo e attuale consigliere Csm non sono avvenute in una sede istituzionale ma in una trasmissione televisiva dove, in modo velato, ha sostenuto che nel 2018 il ministro Bonafede gli ha proposto il ruolo di capo del Dipartimento delle carceri (Dap) salvo fare marcia indietro a causa di presunti condizionamenti da parte dei boss. Accuse gravissime che hanno scatenato le opposizioni, decise a chiedere al guardasigilli di riferire in Parlamento e, dopo, rassegnare le dimissioni. Insomma il processo a Bonafede è già stato fatto, con buona pace della realtà dei fatti che potrebbe essere diversa da come raccontato a Non è l’arena dal consigliere del Csm.
DIFESA SOCIAL. Lo sa bene il ministro Alfonso Bonafede che ieri su Facebook ha spiegato la situazione. Non che non ci avesse già provato durante la trasmissione tv quando ha alzato la cornetta per offrire la propria versione dei fatti, salvo venire continuamente interrotto. Per questo sui social, il guardasigilli ha scritto che “nella trasmissione televisiva Non è l’Arena, si è tentato di far intendere che la mancata nomina, due anni fa, del dottor Nino Di Matteo, magistrato antimafia e attuale membro del Csm, quale Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) fosse dipesa da alcune esternazioni in carcere di mafiosi detenuti che temevano la sua nomina”. Si tratta di “un’ipotesi tanto infamante quanto infondata e assurda”, “d’altronde se fosse vera non avrei certo chiamato io il dott. Di Matteo per valutare con lui la possibilità di collaborare in una posizione di rilievo”.
La spiegazione non ha convinto il leader della Lega, Matteo Salvini: “Le accuse nei confronti del ministro sono gravissime anche perché arrivano da un uomo di legge, da un uomo di giustizia. Noi stiamo valutando i prossimi passi: è chiaro che uno dei due mente. Se mente un magistrato è grave, se mente il ministro di giustizia è devastante”. Gli fa eco tutto il centrodestra con Giorgia Meloni in prima fila: “Ai disastri si aggiungono ombre sul comportamento del guardasigilli. Fossi Bonafede, rassegnerei le mie dimissioni”. Del tutto opposta la reazione del deputato M5S e presidente della commissione Giustizia della Camera, Francesca Businarolo, secondo cui: “Siamo solidali con Bonafede, ministro leale alle istituzioni e alla nostra storia di antimafia. Nessuno osi sollevare dubbi su questo. Anche perché è evidente l’equivoco nato dalle frasi del consigliere Di Matteo sulle frasi scambiate tra alcuni detenuti e la successiva scelta del capo del Dap: il ministro ne era a conoscenza già prima di chiamarlo. Purtroppo alcuni spazi di dibattito televisivo vivono proprio per creare caos”.
LA GIRAVOLTA DI FORZA ITALIA. Ma tra tutte le reazioni quella più incredibile è quella di Forza Italia che ha preso le parti di Di Matteo. Peccato che il partito di Silvio Berlusconi sia da sempre ostile al pm che ha indagato sulla Trattativa Stato-mafia e ottenuto la condanna di Marcello Dell’Utri. Un astio dovuto anche al fatto che il magistrato ha spesso ricordato come Forza Italia sia stata fondata da un uomo che la Cassazione ha riconosciuto colpevole di concorso esterno a Cosa nostra. Frasi ripetute a novembre scorso e che ha fatto indignare il capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, Mariastella Gelmini secondo cui si tratta delle “solite farneticanti teorie” mentre quelle rivolte a Bonafede evidentemente non lo sono. Anzi sono certezze granitiche tanto che la stessa Gelmini ha tuonato: “Le gravissime accuse del pm non possono cadere nel vuoto: o Di Matteo lascia la magistratura o Bonafede lascia il Ministero della Giustizia”.