Oramai abbiamo imparato a conoscere i moniti di Bruxelles agli Stati membri affinché questi non accumulino arretrati. L’ottica, condivisibile o meno che sia, è che più si fa debito e più diventa difficile risanare l’ammanco. Peccato però che, per riprendere un simbolismo evangelico, la Commissione europea guardi alla pagliuzza dei singoli Paesi e non alla trave che è nell’occhio.
Una trave che vale 295 miliardi di euro. Questa è la cifra che si legge nella relazione della Corte dei conti europea relativa agli “Impegni non ancora liquidati nel bilancio dell’Ue” resa pubblica proprio ieri. L’accusa dei magistrati contabili accende un allarme anche per il futuro: “Un crescente arretrato di bilancio potrebbe avere un impatto su futuri progetti finanziati dall’Ue”.
Il discorso è semplice: nel corso degli anni sono stati impegnati soldi senza che poi questi ultimi siano stati effettivamente versati ai vari Stati o ai singoli progetti. Il conto è salatissimo: “Il valore dei pagamenti che la Commissione europea dovrà eseguire ammontava a 267 miliardi di euro alla fine del 2017 e verosimilmente continuerà ad aumentare”. Tanto che per il 2018 lo stesso organo presieduto da Jean-Claude Juncker ha rivisto detta cifra “portandola a 295 miliardi di euro” e potrebbe aumentare ancora, arrivando a 314 miliardi alla fine del 2023.
Un caos clamoroso che ha subito una brusca accelerata negli ultimi dieci anni, quando l’arretrato è aumentato di oltre il 90%. Determinanti, sottolinea la Corte, sono stati i programmi di coesione sulle cui tempistiche sia Stati membri che Europa sono stati decisamente superficiali. Basti questo: alla fine del 2017, gli impegni non ancora liquidati per i vari fondi di sviluppo europei si sono attestati a 189,9 miliardi, ossia il 71% del totale. A tutto questo si è aggiunta la crisi economica che ha condotto ad una grave recessione e a un deterioramento dei livelli di disavanzo e debito pubblici: “Gli stanziamenti di pagamento si sono rivelati insufficienti e domande di pagamento del valore di parecchi miliardi di euro sono state evase con ritardo”.
Di conseguenza, l’arretrato è aumentato, raggiungendo quota 217,8 miliardi di euro già alla fine del 2012. E non poteva, ovviamente, mancare l’aspetto mastodontico della burocrazia. Basti pensare che i Quadri Finanziari Pluriennali (che per l’Ue sono settennali) hanno continuato a sovrapporsi di anno in anno. Un esempio su tutti: per il periodo 2007-2013 gli Stati hanno potuto presentare documenti di chiusura dei vari progetti fino al 2017. A cosa ha portato tale cortocircuito? “Nel momento in cui gli impegni di un QFP (Quadro Finanziario Pluriennale, ndr) iniziavano ad essere pagati, si iniziava ad assumere gli impegni del QFP successivo”. Di conseguenza, ogni periodo aggiuntivo concesso per giustificare la spesa alla chiusura definitiva ha fatto aumentare la sovrapposizione e, dunque, gli importi non liquidati.
In questo quadro assolutamente poco roseo spiccano le continue previsioni sbagliate della stessa Commissione europea che, ad esempio, ha ipotizzato che i ritardi registrati nel 2007 e nel 2008 non si sarebbero ripetuti e che i nuovi programmi sarebbero stati avviati prima. Sarà stato così? No: “Questa ipotesi si è rivelata sbagliata: in realtà, i ritardi sono stati persino maggiori di quelli del precedente periodo”. Ed è anche per questa ragione che la Corte ha ripetutamente raccomandato alla Commissione di produrre previsioni di pagamento a lungo termine ma, di fatto, non è stati mai fatto.
I numeri raccontano tutta un’altra realtà. Che ora apre scenari inquietanti per il futuro: “Impegni non ancora liquidati sempre più elevati – concludono i magistrati contabili – fanno aumentare gli importi dovuti dall’Ue e, quindi, accresce l’esposizione finanziaria del bilancio della stessa”. Sembra di sentire Juncker & C. parlare contro l’Italia. Ma questa volta sul banco degli imputati ci sono finiti proprio loro.