Dopo giorni di apprensione, sui cieli di Kiev c’è stata una schiarita. A decretarla è Vladimir Putin che, in modo inatteso, ha ordinato il parziale ritiro delle truppe al confine con l’Ucraina (leggi l’articolo). Un segnale distensivo che ha fatto rapidamente il giro di televisioni e social ma che viene visto con sospetto da molti leader occidentali, in particolare dal primo ministro britannico Boris Johnson che teme una “false flag” ossia una manovra di facciata. Del resto nell’ennesima giornata convulsa, ricca di accuse reciproche e giravolte, a scatenare la preoccupazione è stato un evento che ha trovato poco spazio sui media ma che ha agitato le diplomazie di mezzo mondo. Si tratta del voto della Duma, la Camera bassa del Parlamento russo, che ieri ha approvato una mozione che dà al presidente Putin l’autorità di riconoscere come indipendenti le due Repubbliche separatiste filo-russe nell’est dell’Ucraina finite al centro della contesa geopolitica.
Putin ha ordinato il parziale ritiro delle truppe al confine con l’Ucraina
LA RIVENDICAZIONE. Il riconoscimento sarebbe sia una “catastrofe politica” che una “violazione degli accordi di Minsk”, i quali prevedono il ritiro delle forze armate straniere dalle regioni contese del Donbass, ha spiegato il cancelliere tedesco Olaf Scholz durante il summit a Mosca con Putin. Come se non bastasse, a far crescere la tensione ci ha pensato lo stesso zar che ha dribblato l’argomento rifiutando di dire se userà o meno il potere conferitogli dall’assemblea ma spiegando che “la stragrande maggioranza del nostro popolo simpatizza con i residenti del Donbass”. Si tratta di due Repubbliche che non sono ufficialmente riconosciute da alcun Paese ma sono sostenute sotto banco da Mosca e dove infuoca da anni un conflitto per il quale il Cremlino accusa Kiev di aver perpetuato un “genocidio”.
Quel che è certo è che l’eventuale riconoscimento russo delle due Repubbliche equivarrebbe a una “violazione del diritto internazionale”, ha affermato il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, mentre per la Francia si tratterebbe di “un’aggressione senza armi”. Alla luce di tutto ciò, il ritiro di parte delle truppe dal confine è un segnale di distensione che potrebbe non bastare. Ma ciò non impedisce la Russia di fare propaganda con il ministro degli Esteri Serghiei Lavrov che ha fatto sapere che il ritiro “era programmato da tempo” e che la guerra è solo il frutto “dell’isteria occidentale”. Insomma un tentativo di girare la frittata che non ha convinto il segretario della Nato secondo cui “non ci sono segnali sul terreno che la Russia stia riducendo le truppe ai confini dell’Ucraina”, e che per questo chiede il ritiro dei mezzi pesanti dal fronte.
CYBERATTACCHI. Ma la crisi è tutt’altro che finita. Neanche il tempo di esultare per il ritiro parziale delle truppe di Mosca che a far salire la tensione è stata la denuncia del governo di Kiev di attacchi informatici da parte di hacker russi ai siti del ministero della Difesa ucraino e a quelli di due banche pubbliche (leggi l’articolo). Violazioni informatiche ai danni dell’Ucraina che non sono una novità tanto che in passato i cybercriminali di Mosca sono stati capaci di mettere in ginocchio Kiev come nel 2015 quando, poco prima del Natale, hanno messo temporaneamente ko la rete elettrica dell’Ucraina. Proprio per questo gli esperti da giorni lanciavano l’allarme su possibili violazioni informatiche con l’Agenzia italiana per la cyberiscurezza che lunedì faceva sapere che “i rischi cibernetici ai quali sono esposte le imprese italiane” sono estremamente elevati.
Attacchi che, tuttavia, Mosca nega di aver compiuto. “Come previsto, l’Ucraina continua a incolpare la Russia per qualunque cosa. La Russia non ha nulla a che vedere con alcun attacco alla rete informatica” ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.