Tutti a piangere Fantozzi, indistintamente. A destra come a sinistra, pubblico popolare ed élite culturale. La morte di Paolo Villaggio è stata accolta con unanime dolore e litri di inchiostro sul grande valore culturale della comicità fantozziana. Grottesca, geniale, graffiante, preveggente, eccetera eccetera. Quanti roboanti aggettivi sono stati lanciati in memoria di Fantozzi nelle ultime ore. Peccato, però, che quando uscì il primo film di Fantozzi, nell’anno di grazia 1975, fu accolto con diffidenza e la solita puzza al naso di una certa scuola di sinistra, che usa la parola “popolare” alla stregua di un insulto. Il successo di pubblico è un’onta che macchia un’opera, sia essa un film, un quadro o una canzone. Ma Paolo Villaggio, nella maschera fantozziana, ha rivolto una sonora pernacchia alla compagnia intellettualoide. Con il suo liberatorio “La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”, il comico – attraverso il suo personaggio – ha deriso proprio quella élite che vedeva quei film come robaccia nazionalpopolare, buona solo a rimpinguare i bilanci della produzione. Ma priva di spessore culturale.
Così da un film all’altro, con una oggettiva fase calante negli ultimi episodi della saga fantozziana (soprattutto i film realizzati alla fine degli anni Novanta), Villaggio ha fatto i conti con una critica ostile, perché restia a strizzare l’occhio alla “cultura ufficiale”, collocata in Italia nella sinistra borghese, che nulla perdona a chi riesce a parlare al pubblico, strappando qualche sorriso.
Certo, forse a differenza di tanti altri artisti, l’attore ligure ha avuto la fortuna di ottenere qualche riconoscimento quando era ancora in vita. E nel 1992 ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera. Ma come mai una tale riabilitazione? Semplice, qualche anno prima Paolo Villaggio è stato protagonista de La Voce della Luna ultima opera di Federico Fellini. Il regista spese parole di elogio per lui e Roberto Benigni, altro attore principale della pellicola. “Due geniali buffoni, due aristocratici attori, unici, inimitabili, che qualunque cinematografia può invidiarci tanto sono estrosi. Penso che possano essere gli amici ideali per inoltrarsi in un territorio che non ha mappe, né segnaletica”, disse Fellini. Così, voilà, Villaggio ha avuto tutt’altra considerazione, perché benedetto da un Maestro venerato a sinistra. Allora ecco il David di Donatello come miglior attore a fare da apripista al premio di Venezia, nel tempio del Cinema italiano. Ma Villaggio non si è fatto abbindolare: non ha indossato i panni del bacchettone per compiacere gli intellettualoni. E ha continuato a rifilare sberle alla cultura bacchettona.
Stefano Iannaccone