Il governo Meloni aveva deciso di non rinnovare a fine 2023 l’adesione alla Belt and Road Initiative (Bri), la Nuova Via della Seta. Ma la missione della premier di questi giorni a Pechino pare risuscitarla. Mario Turco, senatore e vicepresidente M5S, che ne pensa?
“È il culmine dell’ipocrisia di questo governo e, soprattutto, della presidente Meloni, che prima strappa l’accordo con la Cina stipulato da Giuseppe Conte e oggi rivendica l’intento di quello stesso accordo siglato nel 2019. Questo ha fatto perdere tempo alle nostre imprese. La Via della Seta partiva da due importanti presupposti. Innanzitutto, confermava la fedeltà al sistema atlantico, sia sul piano politico che su quello economico, tanto che non riguardava assetti strategici del Paese (come per esempio quello delle telecomunicazioni) e, dall’altra parte, era un accordo alla pari dove non si prevedeva la subalternità dell’Italia alla Cina. La vera finalità ricadeva in un riequilibrio della bilancia commerciale, che segnava un dato negativo per il nostro Paese. Meloni ha prima mandato all’aria questo accordo e oggi, in maniera ipocrita, si presenta alla Cina col cappello in mano, per andare a rivedere accordi necessari anche allo sviluppo economico di molte filiere produttive italiane come l’automotive, che rischia di rimanere escluso dal processo di innovazione in atto in Europa sull’elettrico. Tutto mentre la Presidente del Consiglio cerca di difendere l’indifendibile, continuando a puntare sui motori termici”.
A giugno, secondo i dati Istat, l’export si riduce su base annua del 5,3%.
“Con una politica economica fallimentare che noi stiamo denunciando da tempo; con relazioni internazionali di facciata e scarne di contenuti economici; con lo stralcio di una politica degli investimenti che aveva dato impulso alla nostra economia; con una prospettiva di austerity per lo scellerato Patto di stabilità che Meloni ha sottoscritto, non c’è da stupirsi di questi pessimi risultati. Il problema è che Meloni si muove tardi e con approssimazione. Per questo chiediamo che venga a commentare questi numeri in Parlamento, così come chiediamo che il ministro dell’Economia indichi contenuti e obiettivi della prossima legge di Bilancio”.
Crede che questa missione a Pechino sia stata studiata per rilanciare l’immagine della premier?
“Meloni dopo la sconfitta al Parlamento europeo, dopo essere stata esclusa dalle nomine ai vertici del governo europeo, sta cercando una nuova sponda in termini opportunistici per ricrearsi una credibilità internazionale che ormai ha perso”.
Si parla tanto di Piano Mattei.
“Abbiamo denunciato anche in diverse occasioni che si tratta di un piano “fuffa”, che rispolvera vecchi progetti già finanziati e non stanzia nuove risorse aggiuntive. Non è nulla di più di un poltronificio, dal momento che prevede nomine all’interno di una cabina di regia. A distanza di oltre un anno non c’è nessun finanziamento nuovo dirottato dal governo o dall’Europa, o da quei paesi con cui Meloni ha intrattenuto rapporti”.
Tra aprile e giugno il Pil dell’area euro dovrebbe crescere dello 0,3%, per l’Italia 0,2%.
“Se noi consideriamo il Patto di stabilità, tutte le agevolazioni a sostegno della produttività e della competitività delle imprese che il governo ha tagliato (con errori clamorosi sulla Zes unica o sulle agevolazioni al Sud cancellate), e se pensiamo anche al destino della decontribuzione Mezzogiorno, al crollo incessante della produzione industriale negli ultimi sedici mesi, ai salari poveri e alla domanda interna asfittica, l’orizzonte è nebuloso”.
Manca una politica industriale?
“Noi la politica industriale dopo vent’anni l’avevamo tracciata. Avevamo disegnato un percorso dove, attraverso il Superbonus da una parte e Transizione 4.0 e agevolazioni al Sud dall’altra, avevamo dato una forte spinta al settore imprenditoriale ed economico post Covid. Oggi la politica industriale è assente, la produzione industriale negativa e ci sono tagli agli investimenti e alle imprese che soffrono sui mercati internazionali, perché sono diventate meno competitive e con una pressione fiscale che, secondo l’ultimo rapporto inerente l’Europa, in Italia è tra le più alte con il 42,7% sul Pil. Oggi è difficile fare impresa nel nostro Paese non solo per l’assenza di sostegni alla produttività, ma anche per l’assenza di agevolazioni fiscali”.