A sei giorni dal suo insediamento, l’imperativo di Donald Trump è mantenere la promessa elettorale di porre fine, nel più breve tempo possibile, alla guerra in Ucraina che, da tre anni, oppone Volodymyr Zelensky a Vladimir Putin. Proprio per questo, l’amministrazione del tycoon intensifica i messaggi e i segnali al presidente russo, con l’obiettivo di “instaurare un dialogo” interrotto a febbraio 2022, quando il Cremlino invase l’Ucraina. Secondo quanto dichiarato alla rete ABC da Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente eletto, Trump e Putin “avranno una conversazione telefonica nei prossimi giorni o, al massimo, nelle prossime settimane”.
Waltz ha definito questo un “primo passo importante” verso il cessate il fuoco, aggiungendo che “sono già in corso preparativi” per un incontro tra i due leader. Tuttavia, non è ancora chiaro se Zelensky parteciperà a questi colloqui. Waltz ha spiegato che “il quadro preciso” del possibile vertice non è stato ancora definito, ma ha sottolineato che Trump ritiene imprescindibile avere un “contatto positivo con tutte le parti interessate” per risolvere le crisi internazionali. Queste parole distensive sono state accolte con favore dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha dichiarato che “sia gli USA che la Russia riconoscono l’importanza dei contatti” tra i rispettivi leader, pur avvertendo che la strada verso un vertice vero e proprio “non è ancora vicina”.
“Presto un vertice tra Trump e Putin”. L’amministrazione del tycoon accelera per chiudere la guerra in Ucraina ma scatena l’ira di Kiev: “Non accetteremo alcuna imposizione”
Nel frattempo, Svizzera e Serbia si sono offerte di ospitare l’eventuale summit. In particolare, il governo svizzero ha aperto alla possibilità di concedere a Putin l’immunità da un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale (CPI) qualora l’incontro si svolgesse sul suolo svizzero. Nicolas Bidault, portavoce del ministero degli Esteri svizzero, ha precisato che, pur collaborando con la CPI in virtù dello Statuto di Roma, l’immunità di un capo di stato in carica è riconosciuta dal diritto internazionale pubblico, e qualsiasi decisione in merito spetterebbe al Consiglio Federale. Queste aperture al Cremlino hanno irritato il governo ucraino, che insiste sulla necessità di una “pace giusta” e rifiuta qualsiasi accordo imposto. Peskov ha colto l’occasione per ribadire che “non ci sono prerequisiti” da parte russa per riprendere i negoziati e che è “la parte ucraina” a rifiutarsi di sedersi al tavolo delle trattative.
Il fronte ucraino si infiamma
La situazione rimane incerta, soprattutto perché Zelensky ha più volte dichiarato la volontà di continuare la guerra, anche se Trump dovesse decidere di disimpegnare gli Stati Uniti dal conflitto. D’altra parte, l’Unione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, ha impostato la sua politica estera sulla necessità di contrastare la Russia, considerata una minaccia per la sicurezza dell’Europa. Tuttavia, il supporto alla difesa ucraina diventa sempre più complicato, visto che l’esercito di Zelensky, pur contando sull’aiuto militare di USA e UE, fatica a contrastare l’avanzata delle truppe russe.
Le difficoltà ucraine sono evidenti anche al fronte, dove l’esercito russo continua a guadagnare terreno nel Donbass. L’ultima città a cadere è stata Peschanoye, nella autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk. Il ministero della Difesa russo ha annunciato che “in seguito all’azione decisiva delle unità”, il villaggio è stato liberato e sono state sconfitte “otto brigate meccanizzate delle forze armate ucraine e due brigate della guardia nazionale”.
Nonostante ciò, l’esercito ucraino ha risposto con una serie di attacchi nella regione russa di Kursk, dove sarebbero stati catturati o uccisi diversi militari nordcoreani, e nella regione di Krasnodar, colpendo una stazione di compressione del gasdotto TurkStream. Quest’ultimo raid ha scatenato l’ira del Cremlino, che accusa Kiev di voler “interrompere le forniture di gas ai Paesi europei” e ha promesso che l’attacco “verrà presto vendicato”.