Truffe sui fondi agricoli Ue. Arrestati altri 37 mafiosi grazie all’inchiesta Nebrodi

Parla l'ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci: "I clan cambiano pelle anche negli affari".

Truffe sui fondi agricoli Ue. Arrestati altri 37 mafiosi grazie all’inchiesta Nebrodi

Trentasette presunti mafiosi collegati alla mafia di Tortorici a Messina arrestati ieri. Con un chiodo fisso: i fondi europei da intascare attraverso l’agricoltura. L’operazione si è svolta ieri, oltre che nel Messinese, anche nelle province di Siracusa, Enna, Rovigo, Catania e Gorizia. L’indagine è coordinata dalla Dda di Messina. Il provvedimento segue gli esiti dall’operazione “Nebrodi” del gennaio 2020 che aveva fatto luce sulla fitta interconnessione di interessi criminali sui fondi europei e che aveva condotto all’arresto oltre 100 persone, 91 delle quali il 31 ottobre 2022.

Parla l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci: “I clan cambiano pelle anche negli affari”.

Il tribunale di Patti (Messina), nel processo di primo grado, ha emesso sentenza di condanna per complessivi 600 anni di reclusione e tra qualche settimana inizierà il processo di secondo grado davanti alla Corte d’appello di Messina. Avvalendosi anche delle dichiarazioni di tri collaboratori di giustizia, appartenenti al gruppo mafioso dei “Batanesi”, è stato possibile ricostruire l’esistenza della “famiglia tortoriciana” composta dai Bontempo Scavo e dei Batanesi, accusati di estorsioni e truffe aggravate a danno dell’Unione europea e dell’Agea.

Gruppi che controllavano la coltivazione, l’acquisto e il commercio al minuto di droga che avveniva nel versante tirrenico della provincia di Messina, tra Tortorici, Sinagra, Capo d’Orlando e Rocca di Capri Leone. Un’impresa calabrese impegnata nei lavori di realizzazione del metanodotto nel fiume tra i Comuni di Mistretta e Santo Stefano di Camastra sarebbe stata costretta a consegnare 4mila euro per le festività di Natale e Pasqua di ogni anno, a partire dal 2015 e sino al 2018. Alcuni privati erano costretti a cedere terreni da destinare al pascolo.

Sono state eseguite 21 ordinanze di custodia cautelare in carcere 2 agli arresti domiciliari e 14 ordinanze di sospensione dall’esercizio di attività imprenditoriali oltre al sequestro preventivo di 349 titoli Agea, definiti “tossici” e di somme superiori a 750mila euro su conti di 8 società derivanti dalle erogazioni riguardanti le campagne agricole 2015-2020. Le investigazioni confermano che le frodi comunitarie continuano a rappresentare uno dei principali mezzi di finanziamento illecito delle organizzazioni mafiose (unitamente a estorsioni e traffico di sostanze stupefacenti), più appetibili perché espongono gli autori a minori rischi.

Presidente del Parco dei Nebrodi dal 2013 al 2018 e precursore del “protocollo di legalità” che ha reso possibile arginare gli interessi mafiosi sui fondi comunitari agricoli è Giuseppe Antoci (nella foto), una delle persone più protette d’Italia dopo essere scampato a un attentato mafioso il 18 maggio del 2016. Raggiunto al telefono Antoci esprime “soddisfazione” per l’operazione delle forze dell’ordine. “Questa cosa – ci dice – si infila perfettamente in una vicenda che in questi giorni interessa l’Europa: gli agricoltori. Mentre questi stanno giustamente protestando – spiega Antoci – perché non hanno fondi assistiamo al paradosso di quegli stessi soldi che a milioni invece di andare a questi poveri cristi che si rompono la schiena andavano ai capi mafia che li assoggettavano e minacciavano”.

Per Antoci gli agricoltori di una territorio che nella sentenza del primo processo viene definito “un territorio di anime morte” erano “non solo senza fondi ma anche assoggettati a mafiosi mica da quattro soldi, gente come Gaetano Reina e i Santapaola di Ercolano”. “Se nel 2015 o nel 2019 avessi detto guardate che c’è un pezzo della pista dell’aeroporto di Palermo che risulta nei fascicoli aziendali dei mafiosi – dice – o il terreno del Muos o la riserva di Marzabotto, mi avrebbero detto di farmi vedere da uno bravo”. Non c’è solo la felicità per gli arresti e per le condanne però. Per Antoci tutto questo “sarebbe durato 20 anni se non ci avessimo messo mano. Io penso che quando arriva la magistratura c’è un pezzo di Paese che negli anni ha già sbagliato. Non le considero vittorie. Ho la consapevolezza che sarebbe durato chissà quanti altri anni. Oggi questi agricoltori sono liberi ma provo grande amarezza”.

“Negli anni ’80 c’era la mafia del cemento poi è venuta quella dei rifiuti e infine dei pascoli”

Inevitabile per l’ex presidente dei Nebrodi ripercorrere “vicende che portano alla mente il conflitto a fuoco vissuto”. “Cose che non supererò mai”, spiega Antoci, che sottolinea come “non sia normale che debba essere un presidente di un parco a intervenire”. Per Antoci “la mafia cambia pelle” e si adatta al business del tempo, “come ha sempre fatto nella storia”. “Negli anni ‘80 dopo il terremoto in Campania s’è fatta mafia del cemento”, spiega, “negli anni ’90 si è specializzata nei rifiuti e poi si è buttata sull’agricoltura”. Con una novità importante, spiega Antoci: “Oggi le intelligenze le mafie non devono nemmeno trovarle fuori, hanno figli che studiano e che hanno studiato nelle migliori università all’estero” e si dedicano agli attentati solo se “qualcuno gli mette le mani in tasca”.

“Loro il carcere se lo fanno tranquillamente, il loro vero problema sono le mancate erogazioni. Milioni e milioni di euro che servono al sostentamento delle famiglie dei carcerati e a sostenere il mercato della droga”. E se qualcuno gli ricorda gli anni di delegittimazione subita (anche dalla Commissione antimafia siciliana guidata all’epoca da Claudio Fava) Antoci spiega che quello “è un capitolo chiuso e riaprirlo non farebbe altro che resuscitare personaggi colpiti e affondati”. “Ci hanno pensato la magistratura e la storia a delegittimare i miei accusatori”, spiega.