“Bisogna capire che se quarant’anni fa l’emergenza per lo Stato democratico era quella del terrorismo, adesso lo è la Mafia”. Dopo la notizia degli arresti Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare antimafia, ha le idee chiare su quale sia il problema del nostro Paese.
Ancora una bufera giudiziaria ha coinvolto la Regione Calabria. Presidente Morra, cosa sta succedendo?
“Quello che tanti si auguravano e cioè che si è arrivati non soltanto a colpire la cosca di ‘ndrangheta dei Mancuso ma sono stati raggiunti anche i colletti bianchi. Parliamo di esponenti di una società civile che troppe volte – platealmente – manifesta disprezzo di certe consorterie salvo poi farci affari sotto banco. In quest’indagine sono coinvolti un ex parlamentare come l’onorevole Pittelli, ex consiglieri regionali, vicepresidenti delle regioni ed ex comandanti dell’Arma dei Carabinieri. Si tratta di soggetti che in passato nessuno avrebbe nemmeno immaginato di poter accusare di concorso esterno o peggio 416 bis”.
Tanti politici sono finiti in quest’inchiesta. Possiamo ancora parlare di semplici infiltrazioni o c’è dell’altro?
“Tanto per rendere l’idea, nell’indagine è coinvolto anche Gianluca Callipo ossia l’attuale sindaco di Pizzo Calabro e presidente regionale dell’Anci che rappresenta i comuni italiani. Questo fa capire come non si tratti più di semplici infiltrazioni quanto di antiche e sistematiche intrusioni all’interno di un mondo che doveva essere assolutamente impermeabile ma che, alla prova dei fatti, non si è dimostrato tale”.
Secondo lei è in atto una trasformazione delle mafie?
“A mio avviso bisogna sempre tener conto delle lezioni che grandi uomini del passato, come Rocco Chinnici e Giovanni Falcone, ci hanno lasciato. Se lo facessimo sapremmo che queste sono consorterie che mettono al primo posto la ricerca di denaro come strumento per imporre la propria volontà sul territorio e sulle comunità all’interno delle quali operano. Per riuscirci si sono avvicinate a mondi che dovevano rappresentare la legalità ma che si sono dimostrati straordinariamente disponibili alla corruzione. Questo deve farci ragionare in merito all’indebolimento costante e progressivo della nostra barriera culturale. Un tempo si resisteva al malavitoso di turno che ricorreva all’intimidazione. Adesso basta molto meno, anche una caramella. È in queste dinamiche che bisogna cogliere la trasformazione delle mafie”.
Quindi come se ne esce?
“Dobbiamo avere sempre più attenzione ai flussi di capitali, spingere sulla trasparenza nelle e delle pubbliche amministrazioni e rafforzare tutti gli strumenti che vengono concessi a livello amministrativo e giudiziario con cui potremmo sgominare del tutto queste organizzazioni”.
L’ex Procuratore Giuseppe Pignatone ritiene che il 416 bis, che disciplina le associazioni mafiose, deve essere aggiornato. è d’accordo?
“Si ma occorre farlo con grande prudenza. Il 416 bis può essere arricchito ma non va assollutamente stravolto. Le consorterie mafiose sono sempre più raffinate e proiettate verso una dimensione, meta, trans e sovranazionale, come dimostrato dall’operazione del dottor Gratteri che ha interessato ben 12 regioni italiane oltre a Germania e Svizzera. E questo aspetto va sicuramente riconosciuto”.
Nell’agenda della politica, la lotta alle mafie sembra sparita. C’è un’emergenza o si sta ingigantendo il problema?
“Non c’è nessuna esagerazione. Le mafie sono uno dei maggiori traumi del nostro Paese e non dobbiamo attendere gli attentati per capirlo anche perché non ce ne saranno. Quando i corleonesi hanno sfidato lo Stato, questo ha reagito con durezza. I mafiosi attuali lo sanno e non intendono sfidare lo Stato ma sedurlo perché, purtroppo, ci sono ancora troppi uomini compiacenti. Non si può attendere, bisogna agire”.