Nella lotta ai tumori l’Italia sconta ancora troppi gap tra le Regioni con il Sud che fatica soprattutto in relazione alla bassa adesione agli screening oncologici. Alla vigilia della Giornata mondiale contro il cancro, che si celebra oggi, l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) scatta la fotografia dell’assistenza nel nostro Paese.
L’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) scatta la fotografia dell’assistenza nel nostro Paese
A pesare è anche il fattore socio-economico: a fronte di 18 milioni di nuovi casi e 10 milioni di morti ogni anno nel mondo per cancro, in Europa il 32% dei decessi per tumore è associato a povertà e bassa istruzione. Queste disparità sono meno evidenti nei Paesi con sistemi sanitari universalistici come il nostro, in grado di garantire le cure a tutti. Ma esistono e affondano le radici spesso nella scarsa possibilità di affrontare le spese per esami e visite.
E qui giunge in soccorso un report del Crea (Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità). Dopo il calo registrato nell’anno della pandemia, la spesa privata per curarsi, nel 2021 è salita del 9%, raggiungendo circa 1.800 euro a famiglia, rispetto ai 1.700 del 2020: una crescita attesa, ma ben più rapida di quella dei consumi totali, che è stata del 4,7%. Un trend inversamente proporzionale alla spesa sanitaria pubblica, che in Italia è molta più bassa rispetto ad altri Paesi europei.
Dal 2000 al 2021 è cresciuta, infatti, solo del 2,8% medio annuo, il 50% in meno rispetto agli altri Paesi di riferimento. La verità è che costrette da lunghe liste d’attesa, le famiglie pagano sempre più spesso di tasca propria farmaci, visite mediche, esami del sangue e accertamenti diagnostici. E il disagio economico causato dalle eccessive spese sanitarie ‘out of pocket’, nel 2020 (ultimi dati disponibili) ha riguardato circa 1,3 milioni di famiglie in Italia che hanno rinunciato alle cure per motivi economici o si sono impoverite per sostenerle, pari al 5,2% del totale, ovvero lo 0,6% in più rispetto al 2019. E di queste circa 610.000 sostengono spese sanitarie definite ‘catastrofiche’.
In Italia, nella sanità pubblica, ci sono 3,9 medici per 1.000 abitanti contro i 3,8 della media di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna: ma, correggendo per l’età media della nostra popolazione (con più over 75 rispetto ad altri), a mancare sarebbero 30.000 medici.
Per gli infermieri il problema è ancora più eclatante: ne abbiamo 5,7 per 1.000 abitanti contro i 9,7 dei Paesi Ue: la carenza supera le 250mila unità rispetto ai parametri europei e, comunque, solo per attuare il modello disegnato dal Pnrr, ne servirebbero 40-80.000 in più. “I dati – ha detto Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) – confermano l’allarme che da tempo lanciamo.
Nel 2021 abbiamo toccato il fondo, laureando meno di 10.000 infermieri. Solo l’1% degli studenti sceglie questo corso di laurea contro una media del 3% negli altri Paesi dell’Unione”. Tra i motivi “vi è anche il fatto che da noi guadagnano il 40% in meno dei colleghi europei, pur avendo carichi di lavoro molto gravosi”.
Per avere un’incidenza media sul Pil analoga a quella di altri Paesi Ue, la spesa sanitaria pubblica italiana dovrebbe aumentare di 50 miliardi, ovvero almeno 10 miliardi per 5 anni. “Nei documenti di finanza pubblica – evidenzia Federico Spandonaro, presidente del Comitato Scientifico Crea Sanità – sono previsti meno di 2 miliardi per anno, troppo pochi per un riallineamento”.