Troppi i suicidi tra i militari. Ben 45 dall’inizio dell’anno, stando solo a quelli di cui si è avuta notizia dalla stampa. Il doppio di quelli che si registrano in ambito civile. Quello di un’alpina è diventato un vero e proprio caso e ieri l’Osservatorio militare ha acceso un faro su una piaga troppo spesso ignorata. A Belluno, domenica scorsa nella caserma “Salsa”, è stata trovata priva di vita nel suo alloggio di servizio un’alpina di 30 anni, originaria di Verona. Per gli inquirenti nessun dubbio: si è suicidata. E la salma è stata subito messa a disposizione dei familiari.
Per l’Osservatorio militare presieduto da Domenico Leggiero, che sul caso ieri mattina ha tenuto una conferenza stampa, vi sono invece “troppi lati oscuri”. “C’è da spiegare – sottolinea Leggiero – come mai la donna si trovasse in caserma dopo che a luglio era stata due mesi fa dichiarata temporaneamente non idonea al servizio”. La commissione medico-ospedaliera di Padova voleva sottoporla a un trattamento sanitario obbligatorio, evitato dalla ragazza optando per il ricovero di una settimana in ospedale, al fine di compiere accertamenti. Una volta dimessa, la trentenne era quindi andata in licenza per la convalescenza e, a una nuova visita, era risultata poi ancora non idonea al servizio.
“L’unica certezza – ha affermato Leggiero in conferenza stampa, alla presenza anche di Rachele Magro, psicologa dell’associazione L’altra metà della divisa – è che non poteva essere dov’era. Qualcuno deve spiegare perché, con un quadro clinico come quello descritto, la militare si trovava in caserma domenica scorsa”. Secondo il presidente dell’Osservatorio occorre dunque indagare a fondo ed impedire che la salma venga cremata, considerando anche che a poter fornire qualche risposta sull’accaduto potrebbero essere i medici non militari che hanno avuto in cura la vittima e che al momento non sarebbero stati minimamente interpellati dagli inquirenti.
La tragedia di Belluno è diventata poi l’occasione per accendere un faro sulla piaga dei troppi suicidi tra i militari. “Le alte gerarchie militari – sostiene Leggiero – dovrebbero porsi il problema”. L’Osservatorio su tale fronte ha iniziato a lavorare con l’associazione L’altra metà della divisa, composta da psicologi e volontari. “Viene anche da chiedersi – afferma il presidente – per quale ragione ad esempio se dieci ragazzi si rivolgono all’associazione, chiedendo aiuto, soltanto 3 o 4 si rivolgono alle strutture interne. Il problema – prosegue – torna anche ad essere quello della giurisdizione domestica, che porta i possibili responsabili di determinati drammi a essere quelli che indagano sugli stessi. Penso che si tratti di altri motivi per cui la legge Scanu, relativa in generale al benessere del personale militare, giace in un cassetto”. E dunque per i suicidi come per l’uranio impoverito le uniche risposte arrivate dallo Stato sono ancora le mancate risposte. A poter dare l’attesa svolta anche in questo caso sono i giallorossi.