Come i nostri lettori sanno, questo giornale segue senza preconcetti negativi l’attività del Governo, la maggioranza politica gialloverde che lo sostiene e l’evoluzione del Movimento Cinque Stelle dopo il grande salto dall’opposizione alla responsabilità di guidare il Paese. A differenza di gran parte della stampa nazionale abbiamo dato atto e raccontato le battaglie di questi primi otto mesi, dallo scontro in Europa per fronteggiare le politiche di austerità imposte da Bruxelles al varo delle due grandi riforme del Reddito di cittadinanza e Quota cento, dal taglio dei vitalizzi al primo argine messo sul serio all’ingresso indiscriminato di immigrati in casa nostra.
Tutto questo è costato un prezzo importante, perché ai mercati non importa nulla se ospedali, welfare e servizi dello Stato sono a pezzi, basta che si ripaghino gli oneri finanziari discendenti dal debito pubblico. L’economia nazionale, che non è una roba a sé rispetto al contesto internazionale in frenata, ovviamente soffre e in attesa di vedere i primi effetti della Manovra – non prima del secondo semestre dell’anno – possiamo solo rassegnarci a mettere in fila una sfilza di dati industriali niente affatto brillanti. Chi ci governa non ha fatto tutte queste scelte in segreto, e il gradimento del premier Conte e dell’Esecutivo senza paragoni rispetto alle altre cancellerie d’Europa testimonia quanto questi sacrifici siano largamente condivisi.
Su un quotidiano come la Repubblica leggiamo che tutto questo è frutto di una società prigioniera delle sue paure, ma in realtà la paura diventa un accessorio inutile quando si perde la speranza nel futuro, e il sistema che ha prodotto in Italia cinque milioni di poveri e fatto schizzare le diseguaglianze sociali di speranze ce ne offre poche. Di qui la ricerca di strade nuove, con parole chiave diventate eretiche come onestà, redistribuzione delle risorse, sicurezza, opportunità. Parole che la Sinistra ha smarrito, tant’è vero che anziché cavalcare il Reddito di cittadinanza lo contrasta, per non parlare della questione morale diventata semplicemente imbarazzante.
Per questo un giornale nuovo come La Notizia – anche se tra pochi giorni festeggeremo i sei anni in edicola – ha trovato del tutto naturale guardare alle motivazioni profonde che animano i Cinque Stelle, dopo una prima illusione renziana, della quale però abbiamo scoperto subito il trucco. Ascoltare i 5S, spesso offrendo l’unica possibilità di presenza su un giornale quando tutti gli altri non se li filavano, ci ha fatto quasi scomparire dal grande circuito mediatico, oscurati pure noi insieme a loro. Pazienza ci siamo detti, perché le intenzioni sono buone e il buon giornalismo, si sa, non è abituato alle comodità. Aver fatto però tutto questo per raccontare un mondo che “in meno di un anno di governo si è infettato del virus del berlusconismo” – come ha sentenziato ieri Marco Travaglio sul suo Fatto quotidiano, distruggendo il Movimento, ci obbliga a capire se abbiamo sbagliato tutto o una tale affermazione è sbagliata del tutto.
Con la stessa mente aperta con cui abbiamo guardato a una forza politica nuova proviamo a comprendere le ragioni di Travaglio e di una parte dei Cinque Stelle che ormai fanno stabilmente la fronda interna, ben consapevoli che a lungo andare possono far cadere il Governo e soprattutto relegarsi esclusivamente all’opposizione. E d’altra parte, il progetto dello stesso direttore del Fatto Quotidiano, che sogna un’alleanza tra M5S e Pd, è indigesto agli italiani prima ancora che ai diretti interessati. Dunque, cosa si può contestare concretamente a Di Maio e ai suoi ministri? Sono stati subalterni a Salvini? Se guardiamo quanti provvedimenti ha portato a casa la Lega e quanti i Cinque Stelle questo discorso non regge. Il Carroccio, si dirà, prende più voti, ma anche qui il Movimento paga il senso di responsabilità di fronte a situazioni pregresse, mentre – se proprio la dobbiamo dire tutta – aver fomentato anche sulla stampa un piccolo gruppo di dissidenti ha mostrato al Paese uno schieramento diviso e perciò meno affidabile rispetto al monolite leghista.
Di cosa si sono macchiati allora i poltronari 5S, forse di essersi attaccati al potere come i notabili della prima Repubblica? Di Air Force Di Maio non ne abbiamo visti, e i dipendenti del popolo – come Grillo definiva i portavoce M5S eletti nelle assemblee politiche – continuano a falcidiarsi lo stipendio e restituire i soldi alla collettività. Esattamente quello che non fanno i fuoriusciti tanto osannati dai giornali che invece si scordano sistematicamente di domandargli come mai non si dimettono dai seggi in cui li hanno mandati i 5S e non certo i loro personali elettori. Questo bagno purificatore che serviva alla politica italiana possiamo dire che non occorra più? O davvero chi bombarda il Movimento non si rende conto che sulle macerie torneranno i furbi di sempre? E in economia, nel sociale, nella visione del futuro, la missione del Movimento è finita e si può tornare a fare facili discorsi da bar sui social network piuttosto che dai banchi parlamentari delle opposizioni?
Ognuno dia a queste domande le risposte che preferisce, ma se l’obiettivo è cambiare non dico il mondo ma almeno un po’ della nostra comunità si torni a una stagione di unità e di comunione di intenti, chiamando al proprio ruolo gli organi di garanzia, mettendo alla porta se necessario chi gioca al massacro, magari per tenersi lo stipendio o vendere qualche copia di giornale in più, a costo di sacrificare un disegno che se cade non sarà più facile riproporre nel Paese.